Oggi al Cinema incontra Brett Morgen

Creato il 06 maggio 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il 29 Aprile è stato il giorno evento dell’uscita nelle sale di Crossfire Hurricane, un documentario sulla storia di una delle rock band più famose di tutti i tempi, i Rolling Stones. Il documentario celebra i loro primi trent’anni, ripercorrendo la formazione della band, i primi successi ma anche i guai legali, l’uso di droga e la morte di Brian Jones, attraverso immagini di repertorio.
Oggi al Cinema ha intervistato per voi il regista del documentario, Brett Morgen.

Lei ha curato un documentario su una rock band leggendaria come quella dei Rolling Stones. Come è nato questo progetto?
Mick Jagger e la band desideravano realizzare un documentario come parte delle celebrazioni del loro 50° anniversario (1963-2013). Mick era stato chiaro nel suo intento di realizzare un ‘film’ e non una miniserie televisiva. Credo che lui stesse mirando ad un lavoro che fosse, oserei dire, artificioso e un po’ decentrato, immagino che siano queste caratteristiche ad averlo condotto a me. La band mi ha dato carta bianca ma io sapevo che non avrei potuto includere in un film di due ore una storia lunga cinquant’ anni. Dovevamo raccontare senza andare oltre. Mi sono focalizzazione soprattutto sulla ‘nascita del mito’.

Cosa rappresentano per lei i Rolling Stones?
I Rolling Stones sono stati introdotti al mondo come gli anti-Beatles ma quello era soltanto un gioco. Voglio dire, erano ragazzi ingenui nel ’63, forse i loro capelli erano un dito più lunghi di quelli dei Beatles ma tutto qui. Poi nel ’67 quando Keith e Mick furono arrestati per droga, non si trattò più di un gioco. Fu a quel punto che hanno iniziato ad “interpretare” un ruolo, a diventare personaggi. Non c’era più differenza tra il mito e la realtà. Nei 15 anni che seguirono quei “personaggi” hanno quasi finito per distruggere le loro vite. E’ stato solo quando Keith si è ripulito che la band è stata capace di crescere.

Lei ha lavorato nell’industria cinematografica principalmente come documentarista riscontrando quasi sempre il favore della critica. Non crede che sia arrivato il momento di provare a realizzare un film?
Tutti i miei documentari possiedono un aspetto artistico. Non sono un giornalista né tantomeno mi considero uno storico. Sono prima di tutto un regista. Credo dunque che quella da documentarista a regista sarà una naturale evoluzione per me. Ci sto solo mettendo più tempo rispetto al previsto. Al momento sono in fase di pre produzione di un film che si chiama “When the street lights go on”. E’ un romanzo di formazione di alcuni ragazzi ambientato nei sobborghi di Chicago del 1983. Voglio che sia un film che Terence Malick potrebbe aver diretto da una sceneggiatura perduta di John Hughes. Allo stesso tempo, sto lavorando alla realizzazione di un documentario su Kurt Cobain. Il documentario per me è come una fase di installazione.

Quando ha intrapreso la sua carriera nell’industria cinematografica? Qual è la cosa più affascinante del suo lavoro?
La cosa migliore del mio lavoro è quella di poter esplorare personaggi e mondi che altrimenti non avrei mai avuto l’opportunità di conoscere. Per cinque anno ho vissuto praticamente a casa di Robert Evans (celebre produttore della Paramount Pictures n.d.r.) sul quale ho realizzato il documentario The Kid Stays in the Picture. Prima invece avevo trascorso tre anni in città per raccontare la storia di tre giovani pugili e del loro allenatore in On the Ropes. Lo scorso anno ho trascorso moltissimo tempo con i Rolling Stones che ho amato fin da quando ero bambino. In realtà l’interesse per la materia che stai trattando può conferire un valore aggiunto al film o costituire un ostacolo. Ad ogni modo io sono un regista e quindi il mio istinto professionale mette al secondo posto le celebrità a favore del mio lavoro. Non vorrei mai ritrovarmi dopo tanto lavoro a dover contemplare un film brutto. Fortunatamente i Rolling Stones erano pronti a raccontare la loro storia e a fidarsi delle mie capacità.

Ha qualche progetto nell’immediato futuro?
Vorrei solo continuare a realizzare film che mi mettano alla prova. Sono particolarmente entusiasta delle opportunità che questo lavoro offre soprattutto come documentarista. Per anni il documentario è stato considerato soltanto un prodotto giornalistico, non vi erano valori cinematografici. I miei documentari non sono freddi servizi di informazione, quello è il lavoro dei giornalisti. I miei film si occupano di creare esperienze per fare in modo che lo spettatore ne diventi protagonista.

di Rosa Maiuccaro


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