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Oggi al Cinema incontra Pippo Delbono regista del film Amore Carne

Creato il 25 giugno 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Oggi al Cinema incontra Pippo Delbono regista del film Amore Carne

Oggi al Cinema incontra Pippo Delbono regista del film Amore Carne.

“Prima di innamorarmi del suo cinema dovevo innamorarmi della parabola particolarissima di un teatro che ha esplorato cosi tante direzioni che non so fino a che punto si possa chiamare teatro, come tutto il cinema di Delbono, che sta dentro un continente del visivo dove le persone più interessanti sono quelle che cercano davvero e si mettono in discussione assumendosi anche il rischio di sbagliare”. Così Marco Muller tiene a battesimo la grande scommessa targata Tucker Film: una sfida che partirà il prossimo 27 giugno quando “Amore carne” di Pippo Delbono approderà nelle sale italiane.

Un viaggio viscerale, che osa e spinge il linguaggio cinematografico aldilà delle regole: basta lo schermo di un cellulare che spia, ruba, cattura, si adagia su luoghi e persone. Un peregrinare in soggettiva, che parte da un insieme di realtà personali e si apre sugli ‘infiniti possibili del cinema’, come ci racconta lo stesso Delbono nella lunga chiacchierata con il direttore del Festival Internazione del Film di Roma durante la presentazione del film.

Hai iniziato a filmare “Amore carne” sotto l’ urgenza di una realtà incontrata quasi per caso e senza curarti di dover decidere il formato o la durata in funzione di una distribuzione o di un passaggio televisivo. Senza doverti preoccupare di una sceneggiatura. E poi succede che un vero distributore sia pronto a scommettere sulla sua uscita in sala…   Quello del cinema è un viaggio strano. Ho sempre pensato che il problema siano i produttori e non gli artisti, il grande cinema è nato anche con produttori illuminati che permettevano agli artisti di essere folli e liberi e di accompagnarli nella loro follia. Questo è il mestiere del produttore. È giusto reinventare un sistema di distribuzione che non sia legato agli incassi del weekend, come sarà per “Amore carne”; il film ha iniziato un viaggio nelle sale e lo comincerà contemporaneamente anche in Francia. Siamo un paese ignorante, abbiamo bisogno sempre di divi, di star o di papi per svegliarci, di qualcuno che si affacci a una finestra come diceva Montanelli. Ma la vita è molto piu complessa e pazzescamente drammatica di quello che vediamo al cinema. Nel film di Nanni Moretti il Papa va via per una crisi esistenziale, mentre i fatti più recenti ci hanno mostrato un papa che si dimette non per una crisi interiore, bensì per qualcosa di più: c’erano scandali, c’era lo Ior, c’erano persone che erano state uccise e lobby gay. Mi sembra che in questo paese non nasca più niente, siamo diventati ignoranti, non abbiamo più la follia nè uno spirito critico ed un paese che è in guerra ma è addormentato deve andare al cinema per potersi svegliare.

Molto cinema italiano interessante torna nel nostro paese solo di rimbalzo, come quello documentaristico allevato fino ad ora fuori. In Italia manca una forma di dialogo tra chi le cose le fa e chi dovrebbe dare delle indicazioni sui punti di fuga verso il nuovo…
Poter fare un film come “Amore carne” e avere l’opportunità di farlo uscire in sala perché conoscono me e i miei lavori a teatro, mi dà una certa responsabilità politica e morale rispetto ad altre persone per le quali è piu difficile; spianare la strada è anche un modo per portarsi dietro un movimento, ma bisogna vedere se c’è voglia di far questo. Spesso infatti, vai bene come fatto unico ma non quando vuoi scombussolare, creare movimento e cambiare qualcosa.

Che possibilità ci sono quindi di creare questo dialogo?
Viviamo in un paese morto, sento la morte culturale. Invece di copiare male da francesi o americani, potremmo reinventare il cinema con i nuovi mezzi a disposizione come camere straordinarie a 400 euro o cellulari. Strumenti che permettono di ripensare il linguaggio cinematografico e dare l’occhio non solo alle famiglie dei 100autori o dei documentaristi o dei figli dei cineasti: si potrebbe raccontare lo sguardo di chi l’Italia la guarda arrivando su un canotto o di chi la vede dai campi Rom. Si potrebbe inventare qualcosa che neanche i francesi hanno ancora, un cinema in grado di ridare uno sguardo alle persone che non hanno possibilità di parlare.

Sembra che nel cinema tu proceda ancora un po’ con un freno a mano tirato…
Le mie produzioni a teatro hanno un cammino diverso: ti faccio l’esempio di uno spettacolo che era già stato acquistato senza che nessuno sapesse di cosa parlava e senza che io avessi minimamente in testa un titolo. Era una produzione di 300mila euro, avevo 12 attori e 4/5 tecnici; il vantaggio rispetto ad una produzione cinematografica è che anche nel caso di un budget importante come questo nessuno mi dice nulla, fai quello che vuoi ed io allora volo. Nel cinema per volare probabilmente avrei bisogno di dolly, di camere particolari, ma piuttosto che trovarmi nella condizione di dover sottostare a logiche produttive preferisco ancora il cellulare. Avrei bisogno di qualcuno che come a teatro mi lasci volare, senza dirmi nulla, di gente che ha fiducia. Nel cinema non è ancora così, mancano figure che sorreggano e credano nella follia e nel fatto che si possa parlare in un altro modo. Chi produce o distribuisce il cinema ha paura, per questo dico che è colpa loro e non degli artisti. Più la produzione diventa grossa più sei schiacciato.

E con la voce?
Lavoro molto con la musica. A quel punto non sei più una voce fuori campo o regista che parla, ti tuffi dentro e diventi partecipe, entri in una forma di incoscienza lucida. Non sei quello che guarda, ma sei carne di questo viaggio.

di Elisabetta Bartucca


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