25 Flares
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Quando si può celebrare in qualche forma il grande, imperituro, Thomas Mann, non mi sottraggo mai all’onore di trattare quello che considero il più grande romanziere dell’otto/novecento tedesco. Certa come sono che sto maneggiando una materia che tutti vorrete con me condividere, vista la risonanza universale delle opere di chi dimostrò fin da giovane una sensibilità letteraria straordinaria, lasciandoci vividi e toccanti ritratti di una Germania combattuta tra il declino della borghesia e l’insorgere della malattia aberrante del nazionalsocialismo. Tutti abbiamo indelebile nella memoria il ritratto della famiglia borghese Buddenbrook, in cui il decadimento valoriale coincide con l’investimento economico , con lo scambio della vita con la merce, fino a perdere l’orientamento e il senso della vita in una crisi che anticipa il “male di vivere” novecentesco. Sicché possiamo affermare che proprio colui che fu più radicalmente attaccato ai valori tradizionali e conservatori, entrando in conflitto col fratello romanziere, Heinrich,di orientamento di sinistra, ebbe a celebrare il de profundis proprio di quella realtà che difendeva, anche per via della sua discendenza da una ricca famiglia borghese. Possiamo supporre che fin da piccolo in lui si sia stratificata una dicotomia tra i valori veicolati dal padre, ricco commerciante di Lubecca e senatore dell’antica città anseatica, e quelli di derivazione materna, per metà brasiliana, da cui ha ereditato, l’intrinseca sensibilità e percezione della precarietà della vita, accanto alla forza immaginifica, all’attrazione magnetica per l’arte, la letteratura, la musica (specie wagneriana).
Ragazzo prodigiosamente precoce, non incanala le sue energie nella scuola, interrompendo gli studi secondari. Inizia a scrivere su riviste da giovanissimo e già nel 1901 pubblica la magistrale opera I Buddenbrook, riscuotendo un successo di pubblico e di critica strordinari. Tant è che nel 1929 viene insignito del premio Nobel per la letteratura. Esule dalla Germania nazista , vive in diverse città europee, in Francia , in Svizzera, a Monaco, prima di emigrare negli Stati Uniti nel 1938, di cui diventa cittadino. Partito da una posizione passatista, si libera di simili pastoie e, pur dichiarandosi “impolitico”,( Considerazioni di un impolitico), nella sostanza finisce col condividere col fratello Heinrich l’ansia per un Europa disfatta dalla guerra e dal Nazismo.
Entrando in merito al fascino magnetico che emanano le sue opere , mi sembra riconducibile al conflitto tragico, perché insolubile, tra letteratura e politica e arte e vita, preconizzando già nel 1901 la crisi del Novecento e proiettandosi sostanzialmente in questa dimensione che dura ancora oggi e che gradualmente e inesorabilmente ci ha condotti fin qui: nel torbido nichilismo. Egli vorrebbe rimanere radicato ai valori rappresentati dal padre, ma sente spinte di diversa natura, dichiarando antiplatonicamente la superiorità della letteratura sulla politica. Non può esistere per lui l’uomo politico, vista la situazione dell’Europa, ma la chance di redenzione è consegnata al letterato che con la sua creatività, ironia, anche amara, si ricollega alle origini della storia e della poesia, che vede incarnata nel Romanticismo tedesco, da cui eredita anche la difesa della nazione e della Monarchia. Transita dal conservatorismo all’appoggio alla Repubblica di Weimar, cui si accosta in modo sempre più intenso, umanitario e filosofico, facendo appello alla ragione contro il sonno della stessa che genera mostri. Le spinte di diversa natura cui accennavo sono di tutta evidenza nell’opera I Buddenbrook, dove accanto a personaggi conservatori e borghesi, trovano spazio altri non integrati con il sociale e la politica e votati all’arte, con peculiarità che anticipano il musicista di La morte a Venezia, in cui il protagonista non può che morire, ma non tanto per il colera che incombe, quanto perché si è visto nello specchio della sua omosessualità, verso la quale nutre un sentimento conturbante e conflittuale. La maestria tra l’altro di Mann non risiede solo nel plot , da cui molto avrebbero da imparare i “romanzieri” contemporanei, ma anche nel creare ritratti e immagini di personaggi che superano le barriere del tempo e dello spazio, nella loro icastica monumentalità. Così l’immagine nell’anziano Von Aschenbach sulla sdraio al mare morente che rivolge l’ultimo sguardo al giovinetto Tadzio non è rimuovibile dalla nostra memoria ( e per fortuna!): lì c’è tutta la crisi di una generazione, l’omosessualità latente del romanziere e la consapevolezza piena che chi ha visto gli occhi del meraviglioso Tadzio non può che morirne ( altro che colera!). Elementi di spiccata sensibilità femminile erano nel romanziere ed egli li proietta sulle sue opere, anche nelle fragili e sensibili figure femminile, che fanno dell’arte la loro ragione di vita, disintegrandosi rispetto al tessuto sociale. Così, proprio il conservatore Mann interpreta pienamente le istanze del Novecento, con la sua crisi spirituale e anche sessuale e il giovinetto Tadzio si può leggere come un dandy alla Oscar Wilde e il musicista Auscenbach come Baudelaire che rimane attratto e respinto dalla sua stessa inclinazione sessuale, freudianamente fino allora rimossa tanto da risultargli una sconvolgente scoperta. Sicché nell’arte aveva sublimato la sua natura più autentica che gli ritorna in una specie di rimosso /rimorso.
Ho voluto così celebrare l’anniversario della nascita di un uomo fragile, sensibile e romanziere per antonomasia.