Oggi corro

Da Alberto Murru @Albob_Mu

E’ da sei settimane che il martedì, il giovedì e il sabato mi piazzo fuori, su un piccolo terrazzo imbavagliato da un box in ferro, vetrato, sbroglio l’appiccicosissimo filamento di plastica da un nuovo pacchetto di Diana, e tiro fuori una sigaretta. Appoggio i gomiti sulla carcassa in ferro e osservo la strada di fronte a me, cicco senza rispetto sui panni stesi dalla vecchia sotto casa, taccagna e invadente come poche, faccio tutto questo come se non avessi domani, gesti lenti, dentro il fumo e fuori il fumo, adagio, sul viso si arrampicano gli scarti dei miei polmoni, poi via con un soffio forte.

  È da sei settimane che faccio tutto questo alle diciotto e trenta della sera, è difficile farlo in orario, è forse l’unico gesto che faccio in orario, nella giornata. Sono in tutto diciotto volte in quarantadue giorni, li conto mentre allaccio le scarpe nuove, prese a un prezzo non troppo basso, non adoro le cose scomode, ne i dolori alla schiena. Passo davanti allo specchio guardando il mio profilo, non ho mai indossato pantaloni di tela, ne una felpa così pesante, mi sento come un uomo che per carnevale rovista nei cassetti vecchi della propria madre e si mette addosso un reggiseno e una gonna fasciante.

   È passata per diciotto volte, uscendo dalla via Tommasi e sfrecciando nella via di fronte al mio balcone, non so ne il suo nome ne dove abiti, posso solo vederla saltare su quelle caviglie dolcissime per cinquanta secondi circa, porta sempre gli stessi vestiti, scarpe bianche, polpacci semiscoperti, pantaloni strettissimi e una maglia nera; i capelli sono neri, lisci, a raccogliere la coda un elastico viola, forse uno dei pochi segni della sua femminilità oltre alla perfezione del suo corpo. Le orecchie sgombre da brillanti o strani pendagli, al polso un orologio minimale, non ascolta musica, non ha cuffie, è invogliata dalla sua cadenza perfetta e leggera. Conosco il suo profilo alla perfezione, saprei disegnarlo, ogni sera a quell’ora fumo e me la immagino vestita diversamente, ho diciotto abbinamenti nella mia testa. Nella mia testa ho diciotto sorrisi, il giovedì solitamente è più triste, il sabato arriva incazzata, pesta l’asfalto come se marciasse. Il giovedì della seconda settimana sono rimasto per mezzora affacciato senza muovermi, ho acceso sette sigarette, ognuna come fossero la prima, gesti lenti, ma non è arrivata. Quella sera ho passato diverse ore a pensare all’intoppo, ho fabbricato una tesi dietro l’altra, poi tutto è scomparso quando sabato è sfrecciata di fronte a me come al solito, scacciando la possibilità che avrei potuto non vederla più sbucare da quella via.

  Faccio le scale velocemente, le mie ginocchia poco generose iniziano a lamentarsi, apro la porta ed esco. Giro attorno all’isolato camminando velocemente, scaldo i muscoli e mi preparo alla rincorsa. Scelgo una strada che mi permette di uscire proprio di fianco a lei, mi piazzo la e aspetto il momento giusto. Parto, faccio dieci balzelli e i nostri corpi convergono nella stessa direzione. È molto più alta di quanto immaginassi, o almeno di come la percepivo dal mio balcone, ha un profumo dolcissimo e i suoi capelli sono lucentissimi. Corro di fianco a lei, ma non mi nota, provo a passarle davanti. Dopo pochi minuti il mio petto si contrae in modo sempre più incalzante, e sui polpacci sento come una coltellata, pochi istanti e la vedo allontanarsi dietro la curva. Torno a casa come un bambino che è andato a giocare e ha perso l’aquilone, l’amaro in bocca e i muscoli in fiamme, cinque minuti di gloria, neanche una parola, solo un alito di profumo.

Altri sessantun giorni dalla prima rincorsa, le sigarette nel cestino, serate impegnate in corsette campestri e un fisico un po’ più magro e agile, scendo le scale senza sentire scricchiolii alle ginocchia. Come la prima sfortunata volta, parto da una strada opposta alla sua, mi affianco e le corro dietro, sento il suo profumo, ascolto il rumore dei suoi passi come fosse musica. Dopo qualche minuto non lo avverto più, non avverto più il suo profumo, ne la musicalità dei suoi passi, dopo un minuto vedo che corre in modo sempre più strano, mette i piedi come una papera, poggiandoli leggermente verso l’interno. Respira affannosamente, è mezzora che corriamo a tre metri di distanza e ora sembra muova le braccia come una gallina, le apre cercando di accompagnarsi e aiutarsi nel ritmo della corsa, ma ricadendo in una mimica comica. I suoi fianchi iniziano a ballare sgraziatamente, il gesto sempre più pesante e meno baldanzoso, i piedi pestano rumorosi l’asfalto, sembrano i piedi del sabato, ma oggi è solo martedì. Accelero leggermente e le vado a fianco, mi volto e la guardo. Suda come un cavallo a fine corsa, i capelli appiccicati alla fronte. Niente profumo. Incrocio il suo sguardo per pochi attimi, poi con espressione quasi sprezzante schizzo via come un Keniota e la stacco di una ventina di metri, mi volto ancora per essere certo di averla affossata, sta sulle ginocchia e io sono nel pieno del ritmo.

  Guardo la strada di fronte a me con aria di sfida. Maledetto agonismo.