Oggi parliamo con… Marco P. Massai

Da Gialloecucina

L’ospite di oggi, itrevistato da Alessandro Noseda è Marco P. Massai. Leggiamo cosa ci racconta!

Buongiorno e grazie per l’accoglienza. Ci racconti chi sei e perché leggi e scrivi?

È un piacere averti come ospite!

Ho avuto la fortuna di conoscere molto presto l’amore per la lettura, e il passo dalle favole della sera ai romanzi veri e propri è stato breve. Tutto è cominciato con Il richiamo della foresta, poi sono precipitato su Tolkien, Kipling, sulla Le Guin, su Calvino… e scrivere è stato una conseguenza naturale: prima l’imitazione, poi la ricerca di una strada propria.

I tuoi racconti, come nasce l’idea?

Negli ultimi mesi mi sto concentrando molto sul giallo storico, tutta colpa di Giaco da Pietrasanta. Cercavo un personaggio che fosse in grado di raccontare la Romagna scoprendola passo-passo insieme ai lettori, e durante questa ricerca mi sono innamorato di due figure: una è un “ladro di mogli” vissuto a Venezia nella metà del sedicesimo secolo, l’altra è una delle tante piccole leggende romagnole, il Mazapégul, un folletto un po’ “vitellone” e dalle abitudini decisamente particolari. Così ho preso un Imbrattatele toscano (un toscano di mare!) e l’ho frullato insieme al ladro sciupafemmine e al folletto. Il pasticcio che ne è uscito mi ha convinto, e per fortuna mia e di Giaco ha convinto anche l’editore!

Dove scrivi? Hai un “luogo del cuore” dove trovi ispirazione?

Più che un luogo è una situazione: quando scrivo sono completamente concentrato (a volte mi accorgo di mimare gesti ed espressioni, o di stare fissando la parete da parecchi minuti), quindi la mia prima necessità è il silenzio. Che poi sia il silenzio del mio salotto o di un’aula della biblioteca Classense cambia poco, l’importante è concentrarmi.

 Preferisci il silenzio o ami musica di sottofondo?

Ecco, appunto. Molti scrivono ascoltando musica, ma io la trovo un’arma a doppio taglio: se da un lato può aiutare a trovare un’ispirazione emotiva, dall’altro rischia di indurla, di creare un’emotività che poco centra con l’atto tecnico della narrazione. Lo so, sembra una risposta cinica, ma vivo la scrittura in modo molto pragmatico: le emozioni devono essere quelle che decidiamo consapevolmente di far provare al lettore, non quelle che proviamo noi autori mentre scriviamo.

“La maschera di Pietrasanta” è la tua ultima fatica. Dove hai trovato spunto? E’ autobiografico? Quanto prendi in prestito alla realtà e quanto è frutto di mera fantasia? Come delinei i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?

Rispondo prima alla più facile: per fortuna no, non è autobiografico! Giaco non è esattamente un modello di brav’uomo, ecco. Frequento spesso il teatro Alighieri, in cui è ambientata la vicenda, lo spunto ha in qualche modo seguito l’ambientazione: cosa sarebbe potuto accadere a Giaco dentro questo teatro, nel 1857? Il risultato è un’avventura che coinvolge una cantante lirica (e la sua bellissima collana), un giovane carbonaro, un pittore scenografo e, ahinoi, la Turba, la fazione più violenta della carboneria. E devo dire che è stato uno spunto fortunato, visto che il racconto sta andando benissimo sia sul Delos Store che su Amazon (dove è scaricabile a 1,99 euro!).
Per personaggi cerco di prendere spunto sia dalla realtà (inserendo i tratti caratteristici di persone che mi colpiscono nel mondo reale), sia dalla mia immaginazione: prima li metto nei guai e poi cerco di capire come possono reagire, partendo dalle basi caratteriali e di background che gli ho attribuito.
Seguo una scaletta. Ovviamente con qualche variazione in corso d’opera, ma per ottenere un buon giallo bisogna sapere fin da subito dove si vuole andare a parare, o meglio, dove si vuole portare il lettore. L’obiettivo deve sempre essere il viaggio del lettore… e se ti muovi a tentoni il lettore lo capisce subito, e cerca di scendere!

Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura del racconto?

Le parti più impegnative sono state la ricerca, ma è una difficoltà che affronto sempre molto volentieri tra la caccia a vecchi libri e le visite ai luoghi in cui ambiento le storie, e la definizione dell’intreccio che in un giallo è di fondamentale importanza.

 E del rapporto con Editore ed Editor cosa puoi dirci?

Il rapporto con l’editore è un passo sempre emozionante. Se l’editore è importante, poi, quando leggi le e-mail ti tremano le ginocchia (anche se le leggi da seduto!). Avevo già conosciuto Franco Forte frequentando uno dei suoi corsi di scrittura, e lo vedo più come un maestro, che come un semplice editore. Quello che so sul mondo della narrativa l’ho imparato grazie a lui, e alle sue iniziative Ieditoriali: Franco ha un’attenzione verso gli esordienti che pochi, pochissimi hanno, almeno in Italia.

 Hai altri progetti in fieri?

Al momento sto lavorando a un bellissimo progetto, sempre per la Delos Books di Franco Forte, di cui però ancora non posso dire troppo: si parla di manuali di tecnica narrativa, ma siamo ancora in fase di prima stesura e tutto può cambiare, in bene o in male, quindi dita incrociate!
E poi… be’, sto finalmente lavorando al primo romanzo. Si parla ancora di Ravenna, ovviamente, e del Mazapégul.

E se ti proponessero una sceneggiatura per un film? Saresti d’accordo o ritieni che i tuoi racconti soffrirebbero nella trasposizione cinematografica?

Sarebbe come vincere alla lotteria! Non solo per la soddisfazione di vedere reinterpretato un proprio lavoro, ma anche per la notorietà che la pellicola può dare ai personaggi!

 Descriviti come lettore. Quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi a seconda del momento, dello stato d’animo? E se devi regalarlo un libro come lo scegli?

Vado matto per le piccole storie, meglio se “datate” e meglio ancora se romagnole! Poi ovviamente Gialli e Mistery in generale, ma anche tanto, tanto fantasy. Di quello originale e “cattivo”, niente vampiri sbaciucchioni.

Ho sempre considerato un libro come il migliore regalo possibile. Quando si tratta di scegliere per gli altri o conosco molto bene il destinatario, oppure punto sui classici.

 Un consiglio ad un esordiente che ha la sua storia nel cassetto e non ha trovato ancora nessun editore interessato a pubblicarla?

Uno solo? Il primo consiglio, che vale per il 101% degli esordienti, è di disinnamorarsi del proprio testo e di revisionare sempre con occhi da lettore, non da autore. Sembra facile, ma è un passo decisivo, e moltissimi si fermano prima di compierlo. Il secondo è di leggere tanti manuali e soprattutto di frequentare corsi di scrittura, ma che siano tenuti da professionisti veri, da gente che sappia davvero cosa c’è al di là della grande barricata dell’editoria. Il terzo è di non pubblicare mai e poi mai a pagamento (o con un contratto ad acquisto copie, che poi è quasi la stessa cosa) e senza un editing serio e professionale: nessun editore importante prende in considerazione gli autori che pubblicano a pagamento.

Un autore (o più) che costituisce per te un benchmark. E perché? Se ti va, ponigli il quesito che da tempo hai in mente! Magari è tra i lettori del Blog!

Purtroppo non può leggere il blog, ma dico senza ombra di dubbio Calvino. Su tutti. Un maestro assoluto.

Quale suo libro consiglieresti ai nostri lettori?

Il cavaliere inesistente. Che ci crediate o meno, è il mio fantastico preferito (no, non sono impazzito, è lo stesso Calvino a inquadrarlo nel genere fantastico!)

Donaci una citazione e una ricetta.

L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. I. Calvino

La ricetta è “romagnolissima”: sono i Passatelli (protagonisti, loro malgrado, del mio racconto 2Il diavolo e la zanzara”, uscito sui Classici del Giallo a febbraio)

 Passatelli in brodo

Ingredienti per persona:

1 uovo

50 grammi di Parmigiano Reggiano (non Grana… Parmigiano!)

50 grammi di pangrattato

mezzo pizzico di sale

Nelle ricette tradizionali si aggiungeva anche del midollo di bue (10-20 grammi a persona), per insaporire l’impasto. A piacimento si può aggiungere all’impasto una grattugiata di scorza di limone, e/o un velo di noce moscata.

Preparate un buon brodo di carne.

Quando il brodo sarà pronto sgusciate le uova dentro ad una ciotola e sbattetele con una forchetta. Aggiungete il Parmigiano grattugiato, il pangrattato, il sale (eventualmente anche la noce moscata e la scorza di limone grattugiata, senza la parte bianca e amara della buccia).

Amalgamate bene gli ingredienti fino ad ottenere un composto compatto ma elastico. Nel caso risulti duro aggiungete un po’ di brodo per ammorbidirlo o nel caso contrario un po’ di pangrattato. Il segreto dei passatelli è nel “colpo d’anca”: più si lavora l’impasto e meglio terranno in fase di cottura!

Una volta preparato l’impasto, i passatelli si ottengono facendolo passare attraverso l’apposito attrezzo, formato da un disco di metallo leggermente bombato e dotato di fori di circa 4-5 mm di diametro, che possiede un manubrio con due impugnature laterali. Se non si possiede lo “schiacciapassatelli” ufficiale può andare benissimo un normale schiacciapatate. Pressate adagiando i passatelli, a mano a mano che escono dallo schiacciapatate, su un tagliere o su un piatto cercando di toccarli e comprimerli il meno possibile (la lunghezza ideale da ottenere è tra i 4 e i 6 cm).

Fatto ciò riportate il brodo a bollore, versatevi i passatelli e appena riaffiorano (in 2-3 minuti)… buon appetito!



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