Oggi vi parlo di Orti, frazione di Bonavigo, VR. Anni 52/53 del secolo scorso, 58 anni fa più o meno. Non c’era lo spread.

Creato il 28 dicembre 2011 da Slasch16

 Ad Orti aveva la casa mio nonno materno che aveva emigrato in Germania e poi è tornato in Italia per via della guerra del 15/18, oltre alla casa di proprietà aveva qualche ettaro di campagna.
Un mulo e due mucche, il maiale, le galline, faraone e non ricordo avesse dei conigli. Quello che vado a scrivere è frutto della mia memoria, non ho nemmeno telefonato a mio fratello che ha un anno e mezzo più di me, per cercare di recuperare qualche particolare in più. Mi affido ai flashback di un bambino che andava all’asilo, io.
Noi stavamo bene me ne sono reso conto crescendo e riflettendo su quello che ho visto e vissuto in quegli anni,però ho visto la miseria, la povertà molto da vicino ovvio che l’ho vissuta come fosse tutto normale, erano quasi tutti nelle stesse condizioni e quelli che avevano il maiale, le vigne, le galline erano pochissimi.
Intanto noi avevamo la cucina economica a legna, avevamo il camino con i ceppi di legna da ardere e la munega.
La munega, che vedete nella foto a sinistra, era un telaio in legno che veniva infilato sotto alle coperte con uno scaldino in ferro contenente la brace del camino e serviva per riscaldare il letto prima di andare a dormire.
Sembrano fesserie ma già questo era un indice di benessere, se ci fossero state le statistiche sarebbe rientrato nel paniere, perchè per avere la brace ci voleva la legna e non tutti l’avevano.
Ricordo, come fosse oggi, che mio nonno per dirmi quanto erano poveri i nostri dirimpettai oltre la strada non asfaltata, mi disse che si scaldavano con le strope. Le strope erano le siepi rinsecchite, i rametti caduti per sfinimento, per davi una idea la loro durata una volta accese era meno di quella di un fiammifero di legno.
Questo l’ho capito dopo, diventato più grande, in parole povere accendere un fuoco nel camino con le strope significava stare al freddo data la velocità con la quale esaurivano il loro compito.
Noi avevamo i ceppi di legna per il camino  e la stufa economica che d’inverno era sempre accesa per due ragioni. Una per fare da mangiare e scaldare l’altra perchè c’era sempre su un pentolone con le patate più piccole da dare la maiale, avete presente le patate piccole che adesso nei ristoranti ti servono come specialità della casa a sei ero a porzione? Bene, a quei tempi, le patate più piccole e deformi le davano al maiale.
Mio nonno fumava  e non buttava mai via una cicca, io fumo e non vi dico quante sigarette vedo nei posacenere, per strada, buttate via a metà se non di più ed anche questo fa riflettere.
D’inverno, ad una certa ora della sera verso le diciannove se non prima, i nostri dirimpettai venivano a trovare mio nonno per fare due chiacchiere ed è su questa parte del cerimoniale che,diventato adulto, ho riflettuto e rifletto di più.
Il nonno offriva un bicchiere di vino, senza convenevoli, e ci si sedeva tutti attorno al camino, prendeva la scodella done aveva messe le cicche delle sigarette durante il giorno e le dava al capofamiglia dei nostri dirimpettai, le rompeva, ne recuperava il tabacco e con una cartina, del nonno, si faceva una sigaretta.
Anch’io fumo e mi faccio le sigarette con la macchinetta e la busta di tabacco buono, sarà un residuo della memoria, ma questo non conta.
Si chiacchierava del più e del meno, della campagna, del tempo e di cose semplici, non si ascoltava la radio e non c’era la televisione a rincoglionirci ed a farci sentire più importanti in quanto consumatori di cose inutili.
Mentre si chiacchierava, con indifferenza, capo famiglia, moglie e figli dei nostri dirimpettai, addentavano qualche  patata, senza che il maiale lo sapesse altrimenti si sarebbe alterato, al che, mio nonno, tagliava qualche fetta di salame e diceva: assaggiate come è venuto bene questo con l’aglio allungando in contemporanea un pezzo di pane.
Ho capito qualche decennio dopo che quello che sembrava un gesto di cortesia per gli ospiti da parte di mio nonno altro non era che la cena di quella povera gente.
Mi fa star male solo il pensiero anche adesso, da bambino non me ne rendevo conto.
Noi facevamo colazione con pan biscotto, salame e vino bianco, ripeto COLAZIONE, alla quale seguiva il pranzo e la cena. Non so in quegli anni in campagna  potessero fare altrettanto.
Alla domenica si mangiava il lesso, misto, non c’era solo la gallina del nostro pollaio, mio nonno faceva dei chilometri con il calesse per andare a comprare un pezzo di manzo, non so dove fosse il macellaio se a Bonavigo, meno di 5 km da noi, o addirittura Minerbe o Legnago, sta di fatto che noi mangiavamo il lesso, le tagliatelle fatte in casa sulel quali mettevamo un sugo, spaziale, fatto con le interiore della gallina, budella comprese.
Quasi sempre c’era la torta fatta in casa, noi, l’ho capito dopo eravamo ricchi, benestanti.
Sempre della mia famiglia di riferimento ricordo in particolare le scarpe, mio nonno mi comprava le scarpe di cuoio, non c’era scritto Nike o Adidas nel fianco ma avevano la suola di gomme spessa, mi pare si chiamasse carro armato, ed erano di cuoio l’acqua non si infiltrava bagnandoti i piedi.
 Ricordo che i figli dell’amico di mio nonno portavano le sgiavare anche d’inverno e adesso vado a spiegare come erano fatte. Chi avrà visto il capolavoro di Ermanno Olmi lo saprà già. La foto che ho messo è una versione moderna, l’autentica non sono riuscito a trovarla.
Erano degli zoccoli fatti a mano con un legno dolce, forse olmo o pioppo non lo so, ai quali veniva inchiodata nella parte superiore un pezzo di cuoio sagomato e recuperabile, per chi l’aveva, oppure un vecchio copertone tagliato alla bisogna.
Non bastasse, dato che il legno era morbido e si consumava facilmente, nel tacco si inchiodavano dei ferri a u, come quelli dei cavalli, che ne aumentavano la durata.
Qualcuno, che non aveva il ferro, ci metteva ritagli di vecchi copertoni di bicicletta che oltre ad aumentarne la durata ne riducevano il tipico rumore.
Questo eravamo, questo ancora sono in molte parti del mondo, mentre sfrecciano davanti a noi Suv a otto cilindri e c’è che atterra in spiaggia con l’elicottero per portare la madre al ristorante a pasteggiare, come Piscitelli, quello che alle 3,30 della notte rideva del terremoto all’Aquila che lo avrebbe reso ancora più ricco.
Piscicelli sull’elicottero che atterra sulla spiaggia. Una spudoratezza senza limiti, non meravigliamoci se un giorno qualcuno farà quello che non ha saputo fare lo Stato.
Da una spudoratezza senza limiti in poi è roba mia, una aggiunta al titolo di Repubblica.
Forse è giunta l’ora di una nuova rivoluzione, che sia lo spread, gli speculatori , i ladri o i calciatori che si giocano 100000, 200000 euro a settimana in scommesse è giunta l’ora di fare un po’ di pulizia, giustizia, di equità, perchè così non si può andare avanti, è un capitalismo indecente ed immorale.
Siamo sopravvissuti agli anni 50, alla guerra precedente ed abbiamo saputo rialzare la testa, possibile che oggi non si sia in grado di dare una, profonda, regolata a questo mondo malato ed infame?