Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di Fidenato, un imprenditore agricolo del Friuli, famoso per la sua guerra a favore degli ogm. Egli si rivolgerà alla Corte Europea, nel frattempo però, visto che, come si legge sulla sentenza, i Ministeri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Ambiente hanno «correttamente ritenuto che il mantenimento della coltura del mais Mon 810 senza adeguate misure di gestione non tutelasse a sufficienza l’ambiente e la biodiversità, così da imporre l’adozione della misura di emergenza», non potrà proseguire nel suo business. Intanto la Monsanto vede calare la vendita di sementi ogm e si dà alla tecnologia rilasciando una app gratuita per la condivisione di dati climatici tra agricoltori – dati che, gratuitamente, la Monsanto sfrutta per elaborare ogm appetibili sul mercato contadino. Brutta storia.
Non entriamo qui nella polemica sulla salubrità o meno degli ogm (da segnarsi i nomi di Monsanto, Novartis, Dupont), dei quali ancora non si conoscono gli effetti a lungo termine del consumo umano. Dubbi già li sollevano alcuni studi per verificare il possibile nesso fra modificazioni genetiche del frumento e celiachia, derivante dalla differenza della composizione degli amminoacidi della gliadina del frumento geneticamente modificato rispetto a quello naturale. La questione è stata anche oggetto di interrogazioni al Consiglio d’Europa mentre negli Stati Uniti l’anno scorso la U.S. Environmental Protection Agency ha aumentato il limite massimo di glifosato residuo negli alimenti, il diserbante più venduto al mondo, perché le colture ogm, in barba a tutte le previsioni di un minor utilizzo di pesticida per questo tipo di organismi venduti come più forti contro malattie e parassiti, ne hanno un gran bisogno. Lasciamo anche stare gli studi che collegano l’uso di pesticidi e malattie più o meno gravi, dall’acidità di stomaco al tumore. A livello ambientale quello che è certo oltre ogni dubbio è che l’immissione di sementi modificate mina la biodiversità – la cosa più semplice e importante che madre natura ci ha donato contro la carestia. Inoltre la proprietà intellettuale degli ogm è in mano a grandi multinazionali cui non interessa sconfiggere la fame nel mondo – dove c’è ancora abbastanza cibo da sfamare tutti – o migliorare le condizioni dei terreni o ancora proteggerli da malattie o mancati raccolti. Stiamo parlando di grandi imprese che legittimamente perseguono il loro tornaconto economico.
Non c’è nessuna questione etica – e dunque “facoltativa” – il problema deve essere legale. In Italia non si può vietare la coltivazione di ogm approvati dalla normativa europea. Va detto che sul territorio nazionale la cosa è molto limitata, viste le normative regionali a salvaguardia della biodiversità e della coesistenza tra coltivazioni ogm e tradizionali che rende molto difficile per un agricoltore scegliere questa via - ma attenzione: parliamo di coltivazione, non di utilizzo di ogm, come ad esempio mais e soia modificata per la produzione di mangimi per l’alimentazione degli animali di allevamento, anche in Italia.
Uno dei cavalli di battaglia di chi è a favore degli ogm è che questi aumenterebbero la produttività dei terreni, rendendo l’agricoltura più sicura a livello economico per gli agricoltori. Eppure gli ogm vengono usati soprattutto in USA, Argentina e Brasile dalle multinazionali, che controllano la maggioranza assoluta del terreno coltivabile, e che muovono così 18mld di dollari l’anno grazie alla vendita di mais e soia modificata - per lo più destinata agli allevamenti. Perché i piccoli allevatori non dovrebbero partecipare alla cuccagna? Perché diventerebbero schiavi delle multinazionali, semplici mezzadri in casa loro.
I contadini, imprenditori agricoli, allevatori italiani sono davanti a un bivio, e con loro la legislazione di questo Paese. Se l’approvvigionamento di cibo è uno dei problemi del futuro – con la Russia che pensa alla colonizzazione agraria dell’estremo Oriente siberiano e la Cina che punta agli ogm per l’alimentazione umana – lo è anche la sicurezza e la specificità alimentare. E, anche al di là di questo, non si tratta di romanticismo nostalgico rispetto alle tavole del passato – che pure fanno parte della nostra cultura - ma di semplice pragmatismo: il “Made in Italy” che si vende in tutto il mondo è fatto anche, per esempio, di cereali antichi. Quando tutto il grano, tutto il mais, tutta la soia, tutte le sementi del mondo saranno ogm, chi ci ridarà la nostra specificità agricola? Cosa fermerà l’aumento del prezzo delle sementi? Che fine farà la biodiversità e la sicurezza alimentare che ne deriva? Bisogna che anche l’imprenditore agricolo che vuole massimizzare il proprio profitto si interroghi sull’opportunità di darsi alla coltivazione di ogm, perché indietro non si torna.
Il contadino che voglia usare sementi ogm firma un contratto che lo priva di fatto della “sovranità” sul proprio terreno: non può utilizzare le proprie sementi ma deve comprarle, corredate da diserbanti e pesticidi, alla multinazionale di turno e, in caso di violazione del contratto, pagare una penale. Non solo: negli Stati Uniti già esistono ispettori che in base a segnalazioni di dubbia provenienza si aggirano nei campi per scovare quei contadini che utilizzerebbero sementi modificate senza autorizzazione. Non importa se il vento, gli uccelli o la mano umana – e di chi - abbiano messo ogm in mezzo a piante che non lo erano. In quel caso si è legati alla multinazionale di turno, da allora in poi, se si vuole continuare a produrre. Finché morte non ci separi.