Ogni mattina a Jenin

Creato il 11 gennaio 2014 da Achiara84 @madamaAly

Di vibrante realismo e inesorabilmente diretto alla verità, racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di senza patria.

La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, si snoda nell’arco di quasi sessant’anni, attraverso gli episodi che hanno segnato la nascita di uno stato e la fine di un altro. In primo piano c’è la tragedia dell’esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, come rifugiati, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L’autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, che anzi descrive con pietà, rispetto e consapevolezza, racconta invece la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all’amore.

Come dice anche l’autrice, la storia di Amal non è vera. Ma è vera la storia della Palestina, di Israele, e la guerra tragicamente barbara che continua a insanguinare una terra. Una terra che è di nessuno, una terra che è stata “assegnata” a qualcuno, senza tener conto di chi la viveva e la amava.

Non so molto della storia contemporanea. Un po’ perché nella mia scuola, il punto massimo di arrivo è stata la guerra fredda tra USA e URSS, un po’ perché, egoisticamente, il Medio Oriente non ha mai catturato la mia attenzione.

Sto imparando a non ascoltare solo una fonte, un solo parere. La storia la scrivono i vincitori, o i più forti, ma ogni vicenda ha due lati, due facce da dover valutare.

In questo romanzo, la storia è dal punto di vista dei palestinesi, di coloro che quella terra la abitavano, e se ne son visti spogliare. Spogliati di tutto, della terra, delle loro ricchezze, costretti a vivere in campi profughi, in tende che diventano sempre più una casa.

Quanto l’odio può dare vita ad altro odio? Quando si può odiare qualcuno solo per l’appartenenza a un popolo?

L’olocausto della seconda guerra mondiale non ha veramente insegnato nulla agli uomini? La conseguenza diretta dell’olocausto è stata la persecuzione e l’esilio di chi, secondo le opinioni dei “vincitori”, abitava la Terra Promessa.

Come si fa a nascondersi dietro Dio per portare la morte e per sentirsi giustificati a far tutto?

Il libro non è però un grido d’odio. Non condanna gli israeliani, non considera i “terroristi” dei salvatori e dei martiri.

Il romanzo traccia un percorso d’amore. Quell’amore che nonostante tutto, alla fine, serve a far vincere, e rende vincitore chi lo usa come scudo.

L’amore di Hassan per Dalia, che lo porta a superare le tradizioni.

L’amore di Dalia per i suoi figli, che la rende forte e quasi “fredda” nel suo amore per Amal.

L’amore di Yussef per Fatima, che sfida ogni tempo, ogni logica, ogni ragione.

L’amore tra Huda e Amal, amicizia talmente profonda che sfida ogni tempo, ogni difficoltà e si rinnova sempre.

Un percorso d’amore attraverso la Palestina e Israele, attraverso il Libano, la Tunisia.

Un viaggio nell’odio profondo, quello che bombarda gli ospedali, che fa crollare le case, che uccide i bambini tra le braccia e nel grembo delle madri, un odio che non perdona. Stemperato da un amore che supera ogni cosa, anche la morte, il terrorismo e le accuse.

Non è facile poter separare i sentimenti dalla lettura, essere completamente imparziali nel giudicare la storia. Ma la storia non può essere fatta di interessi, la storia è fatta di persone, la maggior parte delle volte comuni. che lottano, vivono, amano, odiano, muoiono.

Un romanzo che vale la pena di leggere, almeno per poter togliere una parte del velo che ci copre gli occhi e che ci fa odiare qualcuno solo per il colore della pelle, solo per la sua religione, solo perché non è come noi e siamo convinti abbia rubato qualcosa alla nostra vita.


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