In realtà ce l’ho in testa da una mattina in cui alcune colleghe, dopo una sessione di formazione, mi hanno detto “Ho seguito il tuo racconto come se fosse un film” e, qualche minuto dopo, la conduttrice ha detto “dovresti scrivere, oltretutto ti farebbe bene”.
La mia vita. Un romanzo. Non l’ho mai considerata tale, se mi guardo indietro ne ho vissuto di cose, però… insomma… sono cresciuta a pane e D’Artagnan, rileggerei Dumas anche ora se ne avessi il tempo… figuriamoci se posso considerare la mia vita un romanzo.
E infatti ultimamente è notevolmente calata la motivazione a scrivere di qualsiasi cosa, figuriamoci della mia vita.
Eppure, non riesco a trattenere un sorriso se ripenso a me dodicenne che provo a scrivere le prime pagine di un romanzo in cui raccontare i miei sogni di quasi adolescente.
Quanto tempo. Quanta strada. Quante storie.
In questi giorni, poi, ho ripreso in mano alcun foto della mia infanzia: ho rivisto i nonni che quasi non ho conosciuto, il viso bello e triste di mia madre, le espressioni di mio padre che non riesco a decifrare, il musetto spaventato di mia sorella e ho letto, ancora una volta, un romanzo in ognuna di quelle foto.
Il tempo passa. E non è mai vuoto.
Gli antichi greci avevano due parole per definire il tempo Kronos e Kairos.
Kronos era il tempo che scorre, quello passato, quello presente, quello futuro. Quello che ci ostiniamo a voler misurare nella speranza di possederlo, controllarlo e, chissà mai!, trattenerlo.
Kairos era il tempo opportuno, la buona occasione, il momento nel quale “qualcosa” di speciale accade.
Sarebbe bello poter considerare ogni vita come un infinita serie di Kairos e non di Kronos. Così si che ogni vita potrebbe essere veramente un romanzo.
p.s. scusate il post un po’ strano e malinconico… in questo periodo butta così… sarà la luna rossa!