Oh mi pôvra dôna…

Creato il 13 aprile 2011 da Pim

E poi si finisce per essere accusati di passatismo. Ma la colpa non è tutta nostra. C’entra poco il rincoglionimento senile, il fatto che dopo i quaranta tutto si colora di ricordi. Ditemi voi: come si fa a non provare nostalgia per la Juventus di Trapattoni di fronte al gioco sconsolante messo in mostra dalla squadra di Delneri? E gli atteggiamenti farseschi del nostro premier non fanno, almeno per un attimo, rimpiangere i discorsi compassati dei politici di qualche decade fa? Insomma, passatisti non si nasce: si diventa, un po’ alla volta, quasi senza accorgersene. Quando ci rendiamo conto, è ormai troppo tardi, il destino è segnato. Ci si ritrova vecchietti con le bretelle a brontolare sulle panchine dei giardinetti: ai mei temp, tajau l’aria con le ciape del cul...

Quei tempi erano i tempi della Torino anni ’70, virata nei toni seppiolini della Polaroid di papà. Una città da un milione di abitanti che era una grande fabbrica a cielo aperto, con le ciminiere e i ballatoi. Che era anche la città degli intellettuali che flirtavano con la lotta armata e dell’aristocrazia salottiera che snocciolava i suoi vizi nel più dorato torpore. La donna della domenica raccontava precisamente quella Torino: Fruttero e Lucentini avevano saputo cogliere con spassosa sagacia lo Zeitgeist di un’epoca destinata peraltro a finire presto. La fedele trasposizione cinematografica di Comencini l’aveva fissata in immagini con esito felicissimo. Marcello Mastroianni, Jacqueline Bisset, Jean-Louis Trintignant, Lina Volonghi, Pino Caruso, davano l'acqua della vita ai personaggi restituendo intatti l'intrigo giallo e lo spirito etico del romanzo.

Quando si propone un modello del genere e si sente la necessità di misurarsi con esso, le strade possibili sono due: aderire al profilo già tracciato oppure creare qualcosa di completamente nuovo. Quello del libero adattamento è un escamotage da capra e cavoli per giustificare le ruminazioni di qualche sceneggiatore che si crede intelligente o in completo disarmo psichico. La riduzione televisiva della Donna della Domenica, andata in onda nelle sere scorse, appare in molte sequenze un ricalco da Comencini: al posto di Lina Volonghi o Jean-Louis Trintignant hai Laura Curino e Roberto Zibetti (si parva licet), ma mosse e battute appaiono identiche. Altre scene, invece, sono appesantite da interpolazioni posticce di stoffa grossolana, che culminano in un finale da querela.  A fa' an po' sgiaj... Vero che Giampaolo Morelli si smarca dal fantasma di Mastroianni proponendo un commissario Santamaria diverso eppure ugualmente credibile ("Marcello è il cinema italiano, io sono un povero cazzone", ha detto recentemente con rara umiltà). Ma quella sciacquetta di Andrea Osvàrt nei panni di Anna Carla Dosio rende improponibile il paragone con la bellezza cristallina di Jacqueline Bisset. E poi. Pazienza se l’uso del grandangolo e delle inquadrature strette maschera in modo goffo una Torino fatalmente diversa. Pazienza se le vetture dell’epoca sono lucide di pacca e le capigliature fintissime. Se però la messinscena tirata via dissipa le leggere volute della trama letteraria e la fotografia glamour acceca la cortina grigio fumé che si stendeva su quelle pagine, allora è la storia stessa a perdere i connotati. Oh mi pôvra dôna…


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