Le cose in realtà sono piuttosto semplici.
Lunedì, l’ex direttore dice che ha intenzione di valutare seriamente la proposta di rilancio di una rivista e che avrebbe intenzione di affidarmi parte della realizzazione e il restyling grafico. Dico che sono in grado di sostenere sulle mie spalle tutta la rivista senza alcun problema, ma lui tergiversa.
Martedì dice che vorrebbe portare all’editore qualche pagina del nuovo progetto; poca roba, solo un paio di rubriche e un servizio da tre quattro pagine. “Non ci mettiamo certo a lavorare senza avere la certezza di portarci a casa il malloppo”. Poi dice che vuole dividere la realizzazione del giornale, non per una questione di scarsa fiducia, ma perché è saltato fuori l’ennesimo caso umano.
Si tratta di un grafico che ha avuto un incidente in moto, si maciullato una gamba, che ora è dodici centimetri più corta dell’altra, e che si sta facendo curare da un russo che allunga le ossa eccetera.
Che posso dirgli? Che c’ero prima io? Che io le gambe le ho entrambe ma non so come mantenere la famiglia? Chissà perché quando parlo delle mie condizioni nessuno mi prende mai sul serio. Forse dovrei fare un po’ di scena, piangere qualche lacrima, ma non sono il tipo.
Mercoledì: salta fuori che il caso pietoso si è messo a fare il restyling da solo, e continua a sfornare rubriche, servizi e prove di copertina che l’ex direttore mi sottopone come se io potessi esserne felice. Questo, a casa mia, si chiama fare le scarpe a qualcuno. Che faremo poi sulla gerenza del giornale? Scriviamo che il restyling l’ha fatto lo zoppo e io mi limito a fare l’esecutore?
Stronzo io e la mia ingenuità, pensare che in fondo tutti hanno bisogno di lavorare, specialmente nei momenti di difficoltà, e scoprire che appena ti volti, quello a cui hai appena fatto del bene cerca di infilartelo nel culo. Davvero fantastico.
Ma ormai la mia strada è rivolta alla ricerca della serenità; non voglio più incazzarmi, semmai provo un grande sconforto e una grande malinconia verso questo modo di vedere la vita. Sono stufo del “io fotto te prima che tu fotta me”. Lo trovo così meschino e triste. Preferisco di gran lunga abbracciare la filosofia de Il grande Lebowski: “Quando capisci che è meglio vivere la vita filosoficamente senza fottere nessuno, allora hai raggiunto lo zen del Drugo”.
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Il 22 giugno 2010 da Roby
LAVORO, PSICOLOGIA, SALUTE E BENESSERE