Okakura Kakuzō: la tradizione asiatica come antidoto alla follia della società occidentale

Creato il 22 gennaio 2014 da Alessiamocci

Nato nel 1862 da una famiglia di samurai trasferitisi dalla provincia di Fukui a Yokohama, Kakuzō compì i suoi studi a Tokyo, presso l’Università Imperiale, dove si laureò nel 1880.

Nel 1886, ancora giovanissimo, fu inviato in qualità di membro della Commissione Imperiale Giapponese in Europa e in America per studiare l’arte e il movimento artistico moderno. Questo viaggio non fece che confermare la convinzione del giovane sulla fondamentale bontà della propria cultura tradizionale e sulla bruttezza della cultura occidentale moderna.

Tornato in Giappone, fu nominato direttore della Scuola d’Arte di Tokyo, dove raccolse intorno a sé un nutrito gruppo di intellettuali e artisti che cercavano di tenere in vita le antiche tradizioni culturali e di difenderle dagli attacchi delle correnti moderniste e filo – occidentali.

Infatti, nella seconda metà del 1800, il governo giapponese aveva deciso che bisognava imprimere al paese una svolta radicale che lo mettesse in grado di competere militarmente e politicamente con l’aggressivo imperialismo delle nazioni occidentali. Il mezzo per potersi difendere e rimanere in vita come nazione indipendente fu individuato in una vera e propria rivoluzione culturale che consentisse al Giappone di modernizzarsi e industrializzarsi nel minor tempo possibile.

Il Paese del Sol Levante conobbe quindi un processo di occidentalizzazione culturale e sociale che forse non ha uguali nella storia delle nazioni. Studenti giapponesi vennero inviati nelle migliori università europee per impadronirsi degli strumenti e delle tecniche più moderne della civiltà occidentale. Professori, ricercatori, scienziati americani ed europei vennero fatti affluire in Giappone per insegnare in scuole e università.

L’intera struttura sociale giapponese fu investita da questo nuovo corso, contadini e famiglie di antica nobiltà, samurai e popolo. Ma questa brusca occidentalizzazione, imposta dal governo al Giappone, creò anche delle notevoli sacche di resistenza tra coloro che rifiutavano di abbandonare la propria cultura, temendo le conseguenze di tale scelta. Un diffuso malumore nei confronti delle indicazioni del governo coinvolse esponenti di ogni ceto sociale, che diedero vita a delle sacche di resistenza che si espressero anche in una serie di rivolte di piazza che vennero però duramente represse dall’esercito. Il dissenso più duraturo fu però quello che si organizzò in campo artistico e culturale e che trovò in Okakura Kakuzō uno dei più dinamici animatori.

Ma la spinta verso l’occidentalizzazione era ormai troppo forte per essere fermata e lo stesso Kakuzō se ne accorse e diede, poco tempo dopo la sua nomina, le dimissioni da direttore della Scuola d’Arte di Tokyo, per protestare contro la politica culturale del governo.

Per poter continuare la sua battaglia, Okakura Kakuzō fondò, in un sobborgo di Tokyo, l’Istituto d’Arte Giapponese, con la collaborazione di trentanove artisti, per lo più giovani, che ne condividevano le idee. La vita di questa iniziativa fu però di breve durata; il governo negò qualsiasi tipo di aiuto e l’istituto dovette ben presto chiudere per mancanza di fondi.

Amareggiato dalle sue personali vicende, Kakuzō decise di visitare gli Stati Uniti e a Boston divenne prima consulente e quindi, nel 1911, direttore della sezione artistica sino-giapponese del locale Museum of Fine Arts.

Grazie a uno dei paradossi della vita, questo giapponese così legato alle tradizioni del suo paese, e così timoroso dell’invasione culturale dell’Occidente, trovò proprio negli Stati Uniti quella possibilità di studiare e approfondire la sua cultura, che la sua patria gli aveva negato. Grazie all’amicizia che lo legava a Ernest Fenollosa e ad altri intellettuali occidentali che aveva conosciuto in Giappone, l’inserimento di Okakura Kakuzō nella vita culturale americana fu denso di frutti e sicuramente più ricco di soddisfazioni di quanto non fosse stata la sua esperienza giapponese.

Durante la permanenza in America scrisse e pubblicò in inglese: The Ideals of the East (1903), The Awakening of Japan (1904) e The Book of Tea (1906) che è forse il suo libro più conosciuto. Un quarto testo, The Heart of Heaven, apparve postumo nel 1922, nove anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1913.

L’idea che animava il suo lavoro culturale e che viene espressa sia nel The Book of Tea (1906) che negli altri suoi libri, era quella di una grande tradizione asiatica concepita come unico valido antidoto alla follia della società occidentale che, con il suo imperialismo aggressivo stava per trascinare nella sua drammatica esperienza il mondo intero.

L’autore de Il Libro del Tè vedeva nell’universo delle culture tradizionali asiatiche l’unica possibilità di salvezza, l’unica risposta efficace e positiva a una visione del mondo che riteneva assai pericolosa per l’uomo e per la società. L’industrializzazione selvaggia del Giappone e dell’intero Oriente costituiva, ai suoi occhi, il massimo dell’imbarbarimento mentre riteneva che il suo paese, in particolare, stesse imboccando una strada tanto più pericolosa in quanto non sarebbe stato più possibile tornare indietro.

Paradossalmente, proprio nel suo attaccamento alle tradizioni, nella sua critica radicale alla società moderna risiede l’attualità di Okakura Kakuzō. Infatti mai come oggi, forse, può apparire evidente la bontà della sua analisi del mondo occidentale e della cultura che esso esprime. Anche se spesso in maniera ingenua, questo intellettuale giapponese aveva però intuito quanto carica di conseguenze drammatiche fosse l’ideologia della società moderna così sbilanciata verso la sfera dell’avere a discapito di quella dell’essere.

Sin dai primi anni del Novecento, Okakura Kakuzō aveva compreso come un rapporto alienato nei confronti del mondo naturale sia causa di drammi e tragedie per l’essere umano e l’ambiente in cui vive. Quando parla del rapporto che il vero Maestro del Tè deve avere con la natura, l’ambiente e tutti gli esseri viventi che vi abitano, egli parla con la stessa attualissima lingua dei movimenti ecologisti che, ai nostri giorni, cercano di porre rimedio alla sistematica distruzione di questo pianeta.

Nella sua ostinata, puntigliosa e a tratti donchisciottesca ostinazione a voler mantenere vive le tradizioni della propria cultura, uno strano miscuglio di lucidità e infantilismo, come è stata definita, affinché i fili che legano un popolo al proprio passato, alla propria storia, alla propria memoria collettiva non siano spezzati, si ritrova molto dello spirito con cui oggi, in ogni parte del mondo, popoli e nazioni cercano di recuperare il proprio tessuto culturale e di ritrovare una dignità nazionale che lo stesso brutale potere che Okakura Kakuzō tanto detestava e temeva, ha disperso e umiliato.

Infine, la ricerca di una spiritualità vera, non soffocata da vuoti stereotipi e inutili formalismi,ma che sia autentico veicolo di liberazione interiore, rimanda direttamente alla ricerca di un nuovo livello di coscienza, realizzato qui ed ora, che è entrata a far parte del patrimonio sociale e culturale dei migliori esponenti delle recenti generazioni occidentali.

Written by Alberto Rossignoli

Fonte

O. Kakuzō, “Il libro del tè”, Sugarco Edizioni, Varese 1994


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