Olivetti e Matera: storia di un progetto tradito

Creato il 03 marzo 2015 da Libera E Forte @liberaeforte

Non tutti sanno che Matera, eletta Capitale della cultura 2019, deve molto all’impegno di Adriano Olivetti che si prodigò per rivalutare la “capitale simbolica” del mondo contadino e “restituire dignità e cittadinanza alle persone”; e che il Governo, dopo avere ostacolato il progetto, lo fagocitò e se ne attribuì i meriti

È tutto riportato nel libro “Matera e Adriano Olivetti. Conversazioni con Albino e Leonardo Sacco”, di Federico Bilò e Ettore Vadini, edito dalla Fondazione Olivetti, sul cui sito è possibile leggere le recensioni al volume apparse sul Corriere della sera (“Se Matera diventa capitale della cultura lo deve a Olivetti” di Carlo Vulpio) e sulla Stampa (“Sassi di Matera, Dc e Pci contro l’utopia di Olivetti” di Giuseppe Salvaggiulo).

Il progetto nasce nel 1950. In questo stesso anno Olivetti lancia la macchina da scrivere Lettera 22, rafforza a Ivrea la rete di consociate estere, crea una serie di agevolazioni per i dipendenti: convalescenziari, asili, colonie estive. Oltre a essere presidente dell’Inu, l’Istituto nazionale di urbanistica, è commissario dell’Unrra-Casas, la divisione delle Nazioni Unite che si occupa della ricostruzione dei Paesi danneggiati dalla guerra e del soccorso ai senzatetto.

Lo spunto gli viene fornito da “Cristo di è fermato a Eboli” dell’amico Carlo Levi, dove vengono descritte le condizioni di estremo disagio in cui versava Matera, città “bellissima, pittoresca e impressionante”. Un giorno del 1949, l’antropologo Albino Sacco viene invitato a prendere un caffè a un bar da un uomo che gli chiede di cosa si occupa. Risponde che studia i Sassi per risolvere la situazione di chi ci vive. L’altro, Olivetti, dice di essere molto interessato. E così inizia il progetto: al professor Friedrich Friedmann viene affidata la direzione di una commissione di studio sui Sassi e una équipe di urbanisti, architetti e sociologi inizia a lavorare un villaggio alle porte di Matera. Degli oltre quindicimila contadini stipati nelle tremila grotte dei Sassi, la metà avrebbe dovuto essere trasferita in nuove abitazioni; i restanti sarebbero rimasti nelle vecchie case risanate “per preservare il tessuto urbanistico e sociale”. Il progetto, finanziato dal piano Marshall, è un esempio di architettura partecipata: per risolvere problemi di ordine pratico (presenza di animali in casa, in che punto inserire una stalla) venivano consultati gli stessi contadini con un referendum. Nasce così il villaggio “La Martella”, denominato “L’altra Ivrea”.

Dal libro emerge come il progetto sia stato ostacolato in tutti i modi dalle forze politiche: Friedmann racconta che i democristiani, preoccupati che i borghi, pensati e progettati all’insegna dei valori della condivisione, si trasformassero in cellule comuniste, crearono tutte le difficoltà che potevano. Una preoccupazione condivisa dagli americani ma infondata: la riprova è data dal fatto che gli olivettiani furono fortemente osteggiati anche dal Pci, con cui avevano poco a che spartire in termini di tradizione culturale.

Il programma venne completamente stravolto e piegato a esigenze politiche e di propaganda. I Sassi vennero svuotati con la promessa di regalare nuove case per tutti, dichiarazione “elettorale” che non poté avverarsi: molti contadini rimasero senza terra e i servizi pubblici del borgo vennero attivati dopo molto tempo. Le scuole per i contadini furono poste sotto la direzione del ministero dell’Istruzione e trasformate in “scuole popolari serali; i loro promotori, dopo essere stati arrestati per occupazione abusiva dei terreni, furono emarginati. La Martella fu inaugurato da De Gasperi a ridosso delle elezioni e presentato come un successo del Governo. Albino Sacco, che si rifiutava di passare informazioni ai notabili sui terreni che sarebbero divenuti edificabili, venne di colpo promosso e trasferito.

Conclusione: il piano è rimasto incompiuto. Viene spontaneo domandarsi cosa si sarebbe potuto ancora ottenere se la macchina del potere non si fosse messa in moto per fagocitare, rovinandole, le intenzioni altrui. Ma siamo in Italia, e ci dobbiamo accontentare dei risultati – pure straordinari – di un progetto realizzato per metà.

MC


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