di Gianpaolo D’Elia
Eh sì, lo confesso, rientro in quella categoria di uomini che non sopportano le cose scontate e preconfezionate. Questo non vuol dire che io stesso non ceda, anche spesso e volentieri, al fascino della banalità e – perché no? – della battuta facile e stiracchiata. Amo nel contempo l’ironia, quella sottile e discreta, quella che magari non cogli al primo ascolto ed alla prima lettura, quella che si fa sentire magari dopo qualche giorno, quando proprio non te l’aspetti più. Quando ho letto la risposta di Ezio Bosso ad un tweet di un noto blog satirico, ho avuto la conferma che l’ironia – soprattutto l’autoironia – è cosa rara, soprattutto è cosa non solo dell’intelligenza, ma anche del cuore. “Trovo davvero commovente come anche una persona con una grave disabilità fisica possa avere una pettinatura da coglione”, questa la battuta, neanche troppo divertente, alla quale il musicista ha ingegnosamente ribattuto: “quello perché provo a pettinarmi da solo”.
Eccolo qui Ezio Bosso, l’uomo che sul palco dell’Ariston ha portato se stesso con tutta la sua straordinaria umanità, senza fronzoli, maschere e obsolete frasi di circostanza. Avremmo potuto immaginare una risposta più impertinente e, ora sì, commovente? A chi non piacerebbe avere almeno un briciolo della sua forza d’animo? Oltretutto a chi è costretto da tempo (come il sottoscritto) a fare i conti con una fila larga – modello autostrada del sole – non dispiacerebbe neanche avere almeno un po’ della sua “pettinatura da coglione”. Ho scoperto ieri chi fosse Ezio Bosso, musicista talentuoso, enfant prodige, quasi ignorato a casa ed osannato all’estero. E’ proprio vero: nemo profeta in patria!
Nasce a Torino e a quattro anni è più interessato agli strumenti musicali che ai giocattoli. Il fratello maggiore lo osserva e dice ai genitori: “mi sa che questo vuole suonare”! Mi sa che il tempo gli ha dato ragione. Potremmo aggiungere tante altre notizie, ma che senso avrebbe? Pochi minuti dopo l’apparizione del maestro sul palcoscenico di Sanremo, la voce “Ezio Bosso” del sito Wikipedia era stata presa d’assalto; migliaia di indici avevano digitato il suo nome per “scoprire” d’improvviso un talento tutto italiano di cui si ignorava l’esistenza. Paradossale vero? E bravo Carlo Conti, chi l’avrebbe mai detto? Sta lì tranquillo e abbronzato per anni, all’ombra del ricordo del Pippone nazionale – di cui, a torto o a ragione è considerato l’erede – e all’improvviso ti stupisce con l’asso nella manica che non ti aspetti.
E così, tra uno zigomo dell’impacciato Garko e il vedo non vedo della Ghenea, spunta un omino sorridente ed emozionato; fatica a muoversi e si sposta su una sedia a rotelle, ma non se ne accorge nessuno. “Ciao, ciao. Lo dico sempre prima di ogni concerto. Mi fa sentire meglio”. Sorride, è emozionato, come un bambino. E, proprio come un bambino, non si preoccupa di nascondersi. La SLA – acronimo di sclerosi laterale amiotrofica – lo costringe a parlare tra i denti serrati, gli stringe le mani in una morsa invisibile. Lui non sembra neanche accorgersene, è felice: “Sono a Sanremo!” L’acclamato artista che si è esibito in tutto il mondo è emozionato di fronte al pubblico di Sanremo.
Ma lui continua imperterrito. A fare cosa? Semplicemente ad essere se stesso: racconta e parla di sé, del suo lavoro e e dei suoi progetti. “Vi suonerò un pezzo che eseguo sempre all’inizio di ogni concerto: Following a bird. Sapete com’è, io preferisco i titoli stranieri, fa più fighetto. Invece Seguendo un uccellino fa un po’ schifo”.
L’emozione si scioglie in risata. Ride il pubblico e ride Carlo Conti. “Noi uomini diamo per scontate le cose belle e non ci rendiamo neanche conto che siamo bellissimi”. Come dargli torto? Si alza dalla sedia e si avvicina al pianoforte. E’ un attimo, doloroso, che tiene tutti con il fiato sospeso. Si impossessa faticosamente del pianoforte, lo rende suo e le mani cominciano ad accarezzare i tasti. Prima lente, morbide. Poi scivolano leggere fino a toccare le corde dello strumento e dei nostri ricordi. Ogni suo gesto sulla tastiera, ogni movimento, appare naturale. Nessuno ricorda più che, per l’uomo che sta suonando, ogni atto o gesto quotidiano, anche il più banale, sono frutto di una continua riconquista. Così come una riconquista è stata la musica: “Avevo dimenticato tutto, anche come si legge la musica. Per tornare a suonare ho dovuto imparare tutto daccapo. E’ stato un po’ come nascere una seconda volta”. “La nostra vita” – continua – non è una linea diritta, ma è un succedersi di 12 stanze. Ad ognuno di noi è accaduto di trovarsi in una stanza che non gli piace, in una stanza buia, in una stanza troppo stretta per lui”. Mentre parla una delle violiniste sorride e piange. Ci credereste? Per una volta, almeno questa volta, sembra tutto perfettamente naturale e non preconfezionato. “Soltanto quando arriviamo nell’ultima stanza riusciamo finalmente a ricordare quello che c’era nella prima stanza. Quando siamo bambini non possiamo, perché non riusciamo a vedere. Giunti nell’ultima stanza, siamo finalmente giunti alla fine … e pronti a ricominciare”.
Dura solo cinque minuti la sua performance, cinque minuti di bellezza totale ed assoluta. Alla fine esplode il boato del pubblico e tutto sembra fermarsi intorno a lui. Chi ha detto che la forza di un uomo si misura con i muscoli? Stavolta la forza e il coraggio si celano dietro il sorriso emozionato di un uomo fragile, dietro le sue braccia che si agitano scomposte, dietro una marea di ciao quasi buttati lì, a caso.
Gianpaolo D’Elia
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Fonte foto: Giornale di Sicilia
Ezio Bosso “Smiles for y…” Canale Youtube dell’Autore