Il film, ovviamente, è da ridere. In particolare in alcune scene spassosissime, dall'arresto in cui il Brigadiere suggerisce al ladro alcune medicine per il fegato, al pagamento del pedaggio del taxi, alla scena nell'osteria (chi sta antipatico a chi, con un cane di mezzo); agli incontri-incroci tra un barbiere che non riesce mai a terminare il proprio lavoro e la telefonata di Totò alla moglie dalla casa del Brigadiere a cui risponde lo stesso Bottoni, in visita alla moglie di Totò. Per arrivare alla scena del pranzo della domenica, la premura del Brigadiere di non portare subito il ladro in Questura e la paura, contemporanea, che questi fugga; l'arrivo dell' "amico tuo vestito da prete", un prete mio amico, un amico mio prete, un prete vestito da amico che crea scompiglio nella tavolata amichevole. Fino alla battuta finale col rovesciamento totale dei ruoli, in cui è Totò a prendere per mano il Brigadiere e a dirgli, "Vieni, ti porto in Questura!". La risata è assicurata, ma è alternata a momenti malinconici di riflessione su una società povera; quando tornano a casa, la sera, il padre di Totò si mette un altro cappotto: in casa fa più freddo che fuori.
E infine uno spunto che fece scalpore all'epoca e che mi pare ancora attuale. I mondi dei protagonisti non sono così distanti e, tra le battute divertentissime e la pensosità malinconica, si vede una storia comune di figli dei poveri, di chi fa fatica a cavarsela, diversi certamente nel proprio percorso di vita ma tanto, tanto simili. E quella vicinanza tra ultimi costretti a lottare tra loro subendo i soprusi di chi impiega il potere per raggirarli e tenerli nella miseria, vicinanza che verrà ripresa da Pasolini nel '68, all'epoca delle pietrate del movimento studentesco, è ancora attuale e fa riflettere sull'oggi.