Un omaggio ad una donna molto risoluta, pronta all’azione e, soprattutto, coerente.
E’ quello che ha tributato Francesca Recchia Luciani, docente di filosofia presso l’Università di Bari a Simone Weil (Parigi 1909 – Ashford 1943) con un libro, di prossima uscita, dal titolo: “Simone Weil tra filosofia ed esistenza”- Pensa Multimedia editore.
In questa intervista Francesca Recchia ci dirà quanto attuale è il pensiero di Weil e ci darà qualche anticipazione sul Festival del femminismo, che sta organizzando a Bari.
Le pagine illuminanti di Weil sono da sempre una delle mie letture preferite, alle quali torno di tanto in tanto per cercare conforto, ma anche risposte. E non mi hanno mai delusa. Anzi, come scrivo nella premessa al mio libro, esse hanno qualcosa di contagioso. Chiunque le legga torna a leggerle e contagia gli altri, che finiscono fatalmente per diventarne affezionati lettori. L’ho amata subito, dalle mie primissime letture e poi soprattutto dal mio incontro, avvenuto nel 1993, con Peter Winch, filosofo wittgensteiniano e mio maestro presso la University of Illinois at Urbana-Champaign, interprete profondissimo del pensiero weiliano, del quale ho poi tradotto in italiano il libro “Simone Weil. La giusta bilancia’”.
Ritiene che la Weil sia stata una donna tosta?
Non so se questa definizione sia adeguata per Simone. Di certo è stata una donna molto risoluta, determinata, pronta all’azione. Anzi, la sua principale caratteristica è quella di essere una pensatrice, che coniuga ogni pensiero con l’agire. Ad ogni idea cerca di far corrispondere un comportamento conseguente, riuscendoci. Quando si è appassionata alla filosofia l’ha studiata e l’ha insegnata – la filosofia è stata l’unica guida di tutta la sua vita – quando si è interessata della condizione operaia ha deciso di lavorare in fabbrica per comprendere dal di dentro cosa fosse. E così in seguito ha fatto per il lavoro contadino. Per di più è sempre stata totalmente integrata nel suo tempo: aborriva la guerra e la violenza, ma decise di arruolarsi per combattere la guerra di Spagna dalla parte dei giusti, per scoprire proprio in quelle circostanze che dove c’è la violenza non c’è la giustizia. Altrettanto coerente fu nell’attivismo politico e sindacale, sempre impegnata in prima linea. E poi la sua battaglia interiore per la fede, per meritarsi il dono della fede.
Nata ebrea rimase sulla soglia di una prima conversione al cristianesimo sino all’ultimo respiro. E’ così?
Lei si sentì fortemente attratta dal cristianesimo, anzi proprio da Cristo, da un Dio fattosi uomo per abitare tra gli esseri umani. Era molto critica con l’ebraismo, perché le sembrava di non poter condividere l’amore per un Dio degli eserciti. Per lei Dio è il Dio dell’amore, è il bene puro, e l’amore di Dio coincide con l’amore per il prossimo, per i più sventurati, gli ultimi. Però, non riuscì a farsi battezzare, perché avvertiva l’intensità della propria fede come qualcosa di estraneo alla Chiesa intesa come istituzione. Per lei i sacramenti erano una cosa troppo seria per poterli accogliere, conservando un atteggiamento profondamente critico verso alcuni atteggiamenti dogmatici del cattolicesimo istituzionale. Non so quanto lei ne fosse consapevole, ma la sua fede ha un respiro decisamente mistico. La sua religiosità è uno sguardo rivolto all’insù, che non perde mai di vista “le cose di quaggiù”, come lei dice. La sua è una visione soprannaturale, nutrita di ciò che è naturale, un divino che si cura dell’umano e si riflette in esso.
Sarà per questo motivo che è rimasta nell’ombra?
Non voglio fare della dietrologia. Di certo il suo pensiero filosofico non è semplicissimo, e il suo misticismo cristiano l’ha resa di non facile lettura per i cattolici e addirittura invisa agli ebrei. Il suo pensiero, soprattutto dopo la vera e propria conversione interiore che si compie alla Porziuncola, dove “incontra” la religiosità profonda e umanissima di san Francesco d’Assisi, è uno sforzo grandioso di conciliare i valori supremi della Grecia classica – Bene, Bellezza, Verità e Giustizia – con i valori cristiani, e soprattutto di farlo senza mai trascurare il mondo umano e la “sventura” , che rende infelici coloro che lo abitano.
Oggi cosa si può recuperare del pensiero weiliano?
Il pensiero di Simone Weil è ricchissimo e fecondo. Il tema della giustizia le è molto caro, poiché ne ha una visione ampia, metafisica. La considera una vera e propria “virtù soprannaturale”, difficilissima da ottenere, ma anche da concepire nella vita quotidiana, che tuttavia deve valere come ideale regolativo dell’esistenza delle persone. E questo perché ha un grande potenziale trasformativo delle loro relazioni, dalle più intime alle più superficiali.
Un capitolo interessante del suo libro è il quarto, dedicato alle riflessioni weiliane sull’Illiade, poema in cui sono sviscerati i concetti di forza, potere, sotto i cui effetti cadremmo tutti. Noi – da quanto si legge – saremmo nati tutti con lo stesso destino: la sofferenza sotto i colpi della forza. E’ così? Anche Achille, l’eroe degli eroi, è vittima della forza. Quindi diventa inutile ogni forma di ribellione? Nessuno può sottrarsi al suo destino?
L’Iliade è una straordinaria fonte d’ispirazione per Simone, perché in essa vede la rappresentazione più veridica della natura umana, soprattutto del dolore che la segna. La forza, col suo prodigioso potere, altera chi la subisce, ma anche chi ne fa uso, ma poiché ella crede in una giustizia più alta, di “rigore geometrico“, vi è sempre un tempo in cui i vinti saranno i vincitori, e viceversa, nelle alterne vicende della storia. Il tema in questione non è l’ineluttabilità del destino in quanto tale, ma il fatto che l’esercizio della forza non resta impunito, nessuno è invulnerabile, nemmeno l’eroe.
Ma allora esistono o no gli eroi, cioè coloro che pensano, che sono capaci di “riscrivere”, “ri-dire” le cose e, soprattutto, coloro che sanno dialogare con se stessi, come insegna la tragedia greca?
Simone Weil non concepisce l’eroismo in senso classico, piuttosto ne ribalta il senso, poiché ciò che le interessa è l’antieroe, il suo modello è il buon samaritano o san Francesco, che si spogliano di tutto per il prossimo, e non del più vicino, ma del più lontano.
Perché Patroclo sulla copertina del suo libro?
Patroclo in quel meraviglioso quadro di David è l’eroe nudo, disarmato, e non si fa fatica a immaginarlo sconfitto, morente.
In questi giorni col Centro di Documentazione e Cultura delle Donne, sta organizzando la seconda edizione del festival delle donne, che l’anno scorso è stato dedicato ad Ippazia. Ci dice che relazione ci potrebbe essere tra Weil e il femminismo?
Simone Weil è una filosofa molto amata dalle donne e dalle filosofe, perché il suo pensiero è incarnato in un corpo di donna – peraltro mai vissuto serenamente-, cosa che condiziona il suo pensiero teoretico, il suo agire politico e tutta la sua esistenza in maniera determinante. È un riferimento importante per il “pensiero della differenza”, poiché – appunto – si differenzia vistosamente dalle filosofie tradizionali per il suo eclettismo, la sua apertura e trasversalità, nonché per la profondità delle sue intuizioni e la sensibilità, che traspare dall’analisi dell’esistente, per l’attenzione del tutto speciale all’immanente e al trascendente.
Quest ‘anno a chi sarà dedicato il festival?
Quest’anno il nostro festival sarà dedicato a una grande femminista italiana poco conosciuta al cosiddetto grande pubblico, Carla Lonzi, critica d’arte, filosofa, femminista militante. Una donna eccezionale, il cui pensiero è stato determinante per fondare su basi teoriche solide il movimento delle donne in Italia, soprattutto attraverso il suo gruppo, attivo negli anni Settanta, raccolto intorno al Manifesto di Rivolta femminile. Un pensiero, il suo, che merita di essere riscoperto sia dalle cosiddette femministe storiche che da quelle più giovani, sia dalle donne che dagli uomini, poiché è uno degli esempi più eclatanti di radicale messa in discussione del paradigma culturale maschilista e patriarcale così strutturale rispetto al nostro mondo, da essere considerato un dato di natura, vale a dire normale, neutro, valido a priori.
In Italia il suo è l’unico festival del femminismo?
Non so se sia l’unico in assoluto. Di certo è il solo ad essere organizzato da un gruppo di militanza femminista, che l’anno scorso ha festeggiato venticinque anni di vita. È per noi un luogo importantissimo di riflessione ed approfondimento, ma anche di slancio e impegno politico per il presente e il futuro. L’anno scorso abbiamo avuto una meravigliosa accoglienza dalla nostra città con una grande partecipazione. Le donne sono tante, sono impegnate e coraggiose e vogliono che la fondamentale importanza che già hanno nella vita sociale si rifletta anche nella sfera politica, dove, invece, vigono ancora logiche escludenti e discriminatorie. Il nostro festival è un modo per far conoscere il valore, la cultura, le modalità di agire e pensare delle donne in quanto donne, quando vivono nella consapevolezza della loro forza.
Nel mio libro ho cercato di evidenziare gli intrecci peculiari e costanti che esistono tra pensiero e vita nel caso di Simone, più che per qualunque altra filosofa o filosofo. Dunque, mi è parso giusto parlare di lei, farla conoscere come donna e pensatrice, senza separare il suo universo di pensiero dal contesto nel quale si è sviluppato, poiché i due aspetti sono veramente inscindibili. È per questo che Italo Moscati ci parlerà del suo personale incontro con Simone ed è per la stessa ragione che presenteremo il documentario di una regista americana, che racconta della personale esperienza di conoscenza di questa straordinaria pensatrice. Ho voluto, in questo caso, che la donna Simone venisse raccontata da persone che, come me, si sono sentite cambiate, trasformate dalla lettura e dalla conoscenza del suo mondo e delle sue idee, perché il suo pensiero e la sua biografia hanno un effetto potente su chi le accoglie e possono, in un momento storico difficile come quello che stiamo vivendo, essere un modello per tutti noi.
Cinzia Ficco