Riprendo la narrazione dopo una lunga pausa perché ho preparato il mio viaggio in India 2015. Ora sono pronta a riprendere .
Eravamo appena arrivati alla pensioncina di Pokhara, gestita da una gentile famiglia nepalese.Aditya si divertiva con i suoi nuovi amichetti, giocava come se si fossero conosciuti da sempre e io mi godevo la pace e il silenzio di quel luogo.
Mentre sostavo sul pianerottolo del piano della nostra stanza e guardavo con gioia i bambini giocare e parlare tra loro, Aditya in hindi e gli altri in nepali, si capivano benissimo, vedo arrancare, ansimante, per le scale che conducevano al piano, una donna. Americana, come seppi subito dopo. Lei mi saluta con grande enfasi e mi porge la mano, si presenta: Sarah.Ricambio e lei, con straordinario senso di familiarità mi chiede subito da dove vengo, che programmi ho, quanto a lungo intendo fermarmi.
Non appena le dico che sto viaggiando con mio figlio di quattro anni e glielo indico, intento a giocare, i suoi occhi si illuminano e mi dice che, due stanze più in là alloggia una sua amica, di nazionalità canadese, con figlia, stessa età del mio. Senza esitare mi mette al corrente di un bel problema in cui si sono trovate immerse e che non riescono a risolvere. Lei sente che, in qualche modo, io potrei essere di aiuto.In breve, questa era la situazione.La figlia dell`amica, è una bimba nepalese adottata a pochi mesi dalla nascita. Ogni anno, la mamma adottiva, da Vancouver riportava la bimba in Nepal per farle rivedere i suoi veri genitori e i fratelli nonché la terra e il villaggio da cui proveniva. Intendeva in questo modo, aiutarla a mantenere il contatto con le sue radici.
Ma questa volta era accaduto "qualcosa" di insolito al villaggio.
Nessuno aveva capito cosa, ma la bimba, Dhan Kumari il suo nome, aveva iniziato a urlare come un`ossessa non appena entrata nella modesta casa di famiglia e la crisi era stata così forte che la mamma adottiva aveva dovuto portarla via temendo il peggio. Nessuno era riuscito a placarla.
Dal villaggio a Kathmandu da Kathmandu a Pokhara, in due giorni Dhan Kumari non aveva più né parlato né mangiato e, a forza, aveva ingoiato qualche goccia di acqua!
La mamma e la sua amica non sapevano più cosa fare. Consultare un medico? Impossibile. Ogni volta che un viso nepalese si accostava alla bimbetta erano crisi, pianti e urla.
A quel punto, chissà per quale spinta intuitiva, mi chiesero, secondo me, cosa si potesse fare.Chiesi di vedere la bimba che dormiva esausta. La mamma era, a dir poco, sfatta dalla preoccupazione.
Mi occupavo da anni di cura delle anime e da un anno mi interessavo ai rimedi floreali di Bach nei quali riponevo tutta la mia fiducia.
Usandoli avevo ottenuto risultati soddisfacenti e viaggiavo sempre con due bottigliette di Rescue Remedy nella borsa. Era quella l'unica cosa che potevo offrire. L'obiezione fu: "ma lei tiene le labbra serrate". "Non importa, dissi io, mentre dorme lasciamo cadere le gocce sulle labbra e una goccia sul punto del terzo occhio".
Lo facemmo insieme con religioso silenzio e cautela. Poi lasciai la bottiglietta a lei suggerendole di fare varie applicazioni durante la notte.
Sarah, Aditya, e io ce ne andammo a cena e portammo indietro cibo per la mamma prigioniera nella stanza.
Ci augurammo una notte portatrice di guarigione, raccomandai, per qualunque evenienza di svegliarmi senza alcuna remora. La notte passò. Al mattino presto, era l'alba, eravamo sul ballatoio a confabulare.Ormai avevo preso in mano le redini della situazione.
Il piano era il seguente.
Al risveglio di Dhan Kumari, con un atteggiamento noncurante sarei entrata nella stanza insieme a mio figlio, Aditya, e due ciotole di porridge e latte.
Aditya si sarebbe messo a mangiare e la seconda ciotola sarebbe stata posta sul tavolo, noi donne, ci saremmo posizionate fuori dalla porta, mantenendola aperta a parlare dei programmi della giornata.
Aditya era stato informato che la bambina si rifiutava di mangiare, e sapeva che doveva fare finta di niente, salutarla, presentarsi, chiedere a lei il suo nome. E non si sarebbe dovuto sentire offeso se lei non avesse risposto.
Così facemmo e i bambini parlarono subito tra loro, e mangiarono la loro colazione. Noi non stavamo nei panni dalla soddisfazione. La mamma di Dhan Kumari, Nicole, a stento trattene, lacrime di gioia.Ci preparammo a una giornata di passeggiate, gita in barca sul lago di Pokhara, degustazione di manicaretti nei ristoranti locali. Tutto andò a meraviglia. La piccola era guarita.
Al pomeriggio i bambini si lanciarono in uno shopping sfrenato nel locale supermarket, comprando una felpa a testa, biscotti e l'immancabile cioccolato svizzero reperibile già da quel tempo in Nepal. Trascorremmo insieme giornate serene scambiandoci tante confidenze, suggerimenti. Fu proprio la mamma di Dhan Kumari a volermi prestare per qualche giorno un interessante mazzo di tarocchi dalla forma circolare con raffigurazioni simboliche che attrassero subito la mia attenzione. Sono un' appassionata di tarocchi e ne possedevo una piccola collezione.Cito questo particolare perché questo mazzo di carte è stato il protagonista responsabile per una nuova importante amicizia dal lato opposto del mondo: New York e tanti viaggi fatti in quella nuova direzione negli anni successivi.
Il caso e la nostra apertura al nuovo possono determinare interessanti svolte del destino. E Dio solo sa quanto io fossi aperta a percorrere nuove strade in quel momento della mia vita. Venne infine il momento di separarci. Con dispiacere, in una mattina grigia, ci avviammo al piccolo aeroporto.
Una cosa però voglio dirla: se oggi sono riuscita a decidere di scrivere queste memorie della mia vita negli anni `90, è merito di Sarah. Lei, una scrittrice di professione, mi suggerì con insistenza di narrare la mia vita in India.
Se oggi ho un caro amico che vive a Manhattan e che è uno dei punti di riferimento della mia vita, è merito di Nicole e di Dhan Kumari e di quel viaggio in Nepal, terra degli dei!