“Qui la notte arriva prestissimo. Cioé, alle sette è già buio. Il primo giorno ci son rimasta male”.
Inma si interrompe per qualche istante. Tempo di capire se il vaporetto che ora sta attraccando all'ormeggio di Piazzale Roma sia proprio quello diretto a Murano. Niente da fare. Il suo ragazzo, intanto, apre la bottiglia d'acqua appena acquistata alla coop. Fa veramente un caldo disumano, per essere Ottobre.
“E poi ci sono un sacco di ombre. Proprio tante, anche quando c'è il sole. Con più contrasti, ecco. Non è come da noi, con quella luce accecante che quasi brucia tutto. Non so come spiegare.”
Annuisco convinta, mentre l'imbarcazione della linea 3 fa finalmente la sua comparsa alla fine del molo. Il fatto è che spiegare non serve. Almeno, non a me. Io che ho sempre parlato della luce di Spagna come di qualcosa in cui ti puoi soltanto immergere. Una luce calda, piena, che allunga le giornate e detta gli stili di vita. E t'entra dentro, pronta a mancarti non appena la lasci. E' iniezione di vitamina D nel corpo. Dosi generose di benessere, di quelle che ti causano euforia. In fondo ho sempre pensato che la chiave stesse tutta lì. Tutta negli effetti, fisici e morali, di quell'aumento di luce.
Inma, dalla sua Nazione, c'è uscita adesso per la prima volta. Un boeing di Volotea l'ha portata a Venezia, con l'entusiasmo di un viaggio romantico a strapparle un “qué bonito” all'incirca ogni tre parole. E a me fa piacere constatare in prospettive contrarie il fatto che la mia non fosse solo un'impressione. In realtà le ho sempre trovate interessanti, le prospettive contrarie. Forse per questo insisto nelle domande, anche davanti ai troppi carboidrati di un pranzo isolano. Ho sempre descritto le impressioni degli italiani alla scoperta della Spagna. Ma cos'è – mi chiedo adesso – che soprattutto colpisce uno spagnolo che viene in vacanza qui? Con l'aiuto inconsapevole di Inma ho messo a punto un breve elenco, ieri. Ché, ad esempio, si chiedeva perché accidenti la gente salisse sugli autobus anche dalle porte posteriori. “Non ha senso! Se la gente entra dalle porte da cui si dovrebbe uscire, poi è ovvio che nessuno paghi il biglietto. Neanche volendo, riesci a controllare. Ché poi di controllori, sui bus, da quando sono qui non ne ho mai visto uno”. Sorrido. Del resto, anche questo l'ho sempre sostenuto. Non ci vuole poi molto, a fare come in Spagna. Si entra dalla porta davanti, e basta. Appena salito, o obliteri il biglietto o ne compri uno dall'autista. Se non compi nessuna di queste operazioni, il conducente ti blocca e non ti fa salire. Risparmi anche in assunzioni, visto che i controllori esterni diventano superflui. E di certo non ci si perde più tempo di quello che ci si impiega ad aspettare che si plachi la massa indistinta di persone che salgono e scendono dallo stesso ingresso. In genere spintonandosi come se non ci fosse un domani. Vabbé.
A stranire il ragazzo di Inma, invece, è l'assenza di ghiaccio nei bicchieri dei ristoranti. Meglio non dirgli che è proprio la sua presenza perenne, invece, una delle rarissime cose che m'infastidiscono in Spagna. Ché sono ipocondriaca, dannazione. Se ho sete voglio tracannarlo, il mio bicchiere d'acqua. Il ghiaccio m'impedisce di farlo, visto il panico da congestione. Di caffè, in compenso, non ne hanno mai bevuto “più buono che qui”. A colpirli, soprattutto, una minuscola torrefazione di Verona. “E dire che io in genere non ne bevo quasi mai. Qui, però, non riesco a farne a meno. E' tutta un'altra cosa, noi proprio non abbiamo idea”. E poi c'è La pizza. Le lasagne. Lo shock da Carbonara senza panna. La pasta, in generale. In quello sì, che facciamo sempre una bella figura.