Ombre lunghe (e memoria corta)

Creato il 26 febbraio 2012 da Povna @povna

La ‘povna ha l’abitudine di ricordarsi (fin troppo) date e avvenimenti. Talmente bene che ha imparato a dimenticare, qualche volta, perché non è facile, esistenzialmente, vivere ogni giorno dell’anno come una sequenza infinita di pluri-anniversari.
Però questo carattere vale anche per la politica, e le consente di avere una dote piuttosto rara in questo campo, al giorno d’oggi (specie se si parla di Italia). Così, da quando ha iniziato a interessarsi attivamente alla cosa pubblica, si è fatta un dovere di ricordarsi tutto (e di prendere, nel caso, doverosi appunti in previsione del futuro). Ricorda i primi manifesti cripto-berlusconiani (“Fozza Itaia” – bambino su cielo azzurro) nella Milano-(non più)-da-bere; ricorda Diego Masi; ricorda Marcello Pera quando era giustizialista; ricorda il Montanelli pentito della Voce (e dunque anche Travaglio); ricorda i girotondi conquistati da Elio Veltri; ricorda l’offerta di un ministero a Di Pietro da parte del primo governo Berlusconi. Ricorda Rutelli quando era radicale (come Pera, peraltro); ricorda la Sbarbati quando diceva di essere anticlericale, sempre; e poi quando fu tra i primi firmatari della proposta di legge sugli insegnanti di religione; ricorda gli occhi pallati di Occhetto di fronte alle domande di Fuccillo; e la “gioiosa macchina da guerra”; e le lotte interne tra Bertinotti e Garavini. Ricorda, va detto, anche cose più recenti: le elezioni del 2001 (e le parole, tristi – come lui direbbe, di Moretti); e quelle del 2006, e Turigliatto, e le colpe di Mastella. E poi la tornata del 2008 (quella in cui ha rischiato pure lei di esserci), che ha portato a questo Parlamento, quando scese in campo il PD di Veltroni. E ricorda bene, al tempo, il mantra ossessivo del “ma anche”; e la proposta di candidatura, a stretto giro di posta, a Boccuzzi, Colaninno e Ichino. E ricorda anche le fasi di una campagna condotta sul filo del compromesso, e – orrore degli orrori – ricorda pure questo video.
Furono queste ragioni, insieme a molte altre (delle quali non mette ora far conto), che spinsero la ‘povna (che, pure, se lo era chiesto a lungo) a non votare il PD (così come non aveva mai fatto – il PCI purtroppo non ha potuto, per sopraggiunta giovinezza), pur senza certezze, perché la situazione era a rischio. E per questo dibattendo con Viola (con la quale condivide molto, ma soprattutto la consapevolezza laica che ci sono occasioni in cui non ci sono scelte a priori ‘giuste’ – e se è per questo nemmeno in un ‘a posteriori’ a breve tempo) la loro serie di motivazioni. Andò a finire che la ‘povna votò ancora una volta il cartello delle “sinistre radicali” (cosiddette), mentre Viola decise per un voto più di establishment, entrambe per le stesse (e condivisissime) ragioni. Di fronte, infatti, alla probabile vittoria della destra, Viola provava a puntare sulla rimonta; la ‘povna sulla presenza in Parlamento di una vera opposizione.
Andò come andò; e non è questo che importa. Ma alla ‘povna è rivenuto in mente questo pomeriggio, ascoltando l’intervista dell’Annunziata a Veltroni. E non perché il sostegno senza se né ma del Bobby Kennedy de’ noantri al governo Monti la stupisca. Anzi. Perché a lei – che la politica la segue con costanza (e appunto, grazia o maledizione, si ricorda) – sembra che quello che propone l’attuale governo tecnico sia grosso modo (probabilmente con più senso civico e una assai maggiore competenza) quello che proponeva goffamente proprio Walter, in quella campagna elettorale.
E dunque lei, che quella linea non votò (e non voterebbe), non cessa di stupirsi quando sente – nelle discussioni al bar, agli aperitivi, in treno, nelle passeggiate del sole che ritorna – quei suoi amici e conoscenti (che invece credevano, e fortemente o comunque con convinzione sufficiente, nel nuovo progetto del partito democratico) criticare con tanta feroce continuità il governo Monti. E non perché lei non abbia di che essere perplessa (anzi). Ma, (appunto) a lei che non votò scelte del genere nemmeno la prima volta, sembra abbastanza chiaro considerare il presidente del consiglio e tutti gli altri come un esempio (di altissima preparazione e livello) di ciò in cui non crede come progetto politico (altra cosa è la visione, compiutamente laica, di “servizio” e “cosa pubblica”). Ma trova più bizzarro il perdurare delle critiche, ossessive e a tutto campo, da chi aveva scelto – e sono passati solo quattro anni – di unirsi, per mille ragioni (e tutte, sia chiaro, ben più che legittime), al coro del “si può fare”.


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