Omicidio Kercher: Amanda e Raffaele assolti

Creato il 04 ottobre 2011 da Iljester

Non avevo alcun dubbio che i due «fidanzatini» di Perugia sarebbero stati assolti. Per una volta – potenza dei media e soprattutto del cipiglio severo e accusatorio degli USA sulla nostra giustizia – è stato correttamente applicato il principio fondamentale secondo il quale un imputato deve essere condannato «oltre ogni ragionevole dubbio». Il processo indiziario, basato sulle ipotesi e sui teoremi, non può né dovrebbe trovare cittadinanza nel nostro paese. Eppure, accade troppe volte il contrario, rappresentando Perugia l’eccezione che conferma la regola. Purtroppo.
La nostra giustizia da questa vicenda ne è uscita indubbiamente con le ossa rotte. E se qualcuno aveva il dubbio che qualcosa al suo interno non funzionasse, ora ne ha la prova. E badate, per una volta tanto non c’entrano i processi contro Berlusconi. Di questa realtà ne hanno la prova persino i paesi stranieri, che finalmente riescono a toccare con mano le profonde contraddizioni che attanagliano il nostro sistema giudiziario, la sua approssimazione, il suo scarso rispetto per i diritti di libertà degli individui e per i princìpi costituzionali che li proteggono. Da noi è ormai sufficiente un sospetto, una denuncia, un qualcosa insomma che possa dare il giusto input, che è facile ritrovarsi in carcere per un reato, senza uno straccio di prova che sorregga l’accusa. Il «non poteva non sapere» è la formula magica che sorregge il sistema e le decisioni dei magistrati. Ecco. Non le prove certe, ma l’indizio, l’ipotesi, la presunzione, il preconcetto.
Ieri Meredith Kercher è stata uccisa per la seconda volta. E personalmente soffro per i famigliari della ragazza, che hanno toccato con mano la grossa presa in giro di un sistema giudiziario che si è rivelato profondamente irresponsabile e contraddittorio, imprigionando come assassini (oltre ogni ragionevole dubbio) due ragazzi, e poi liberandoli come innocenti (oltre ogni ragionevole dubbio). Perché – come ho scritto da qualche altra parte – se è pur vero che i gradi di giudizio hanno la funzione di garantire decisioni giudiziarie coerenti, è anche vero che davanti a certi gravi reati, le differenze tra i gradi di giudizio dovrebbero essere ridotte al minimo (e precisamente alla rimodulazione della pena). E invece, mai abisso è stato tanto profondo tra il giudizio di primo grado e quello di secondo grado, come nel processo di Perugia. Rendiamocene conto: se per la Corte d’Assise d’Appello non c’erano sufficienti prove per condannare i due ragazzi (e forse non ce n’erano affatto di prove), come è stato possibile che la Corte d’Assise (di primo grado) invece abbia potuto condannarli oltre ogni ragionevole dubbio? Come è stato possibile acclarare la loro responsabilità, se le indagini sono state un completo pasticcio e se le prove erano pressoché inesistenti?
La risposta è ardua. E intanto, la verità sull’omicidio della povera Meredith è ben lontana dall’essere stata accertata con la sola condanna di Rudy Guedè. Gli americani, così come gli inglesi, ne sono pienamente consapevoli, tanto da potersi permettere di salire in cattedra a insegnarci quanto la nostra cultura giuridica dei diritti sia meramente teorica ma poco pratica, e poco incline ad applicare i principi che sbandiera nella Costituzione. Di più! Seppure per motivi diversi, hanno messo a nudo il Re. Dove non è riuscito Berlusconi, sono riusciti loro. Ora chi mai potrà sostenere che la magistratura italiana fa bene il suo lavoro? Chi mai avrà il coraggio di dire: se sono stati condannati o assolti, è perché i giudici hanno fatto bene il loro lavoro? Ci sarà sempre il profondo dubbio, il terrore dello sbaglio privo di conseguenze. L’impressione che certe decisioni possano venir condizionate più da fattori esterni (media, ragioni diplomatiche) che da coerenti ragionamenti logico-giuridici.
Ora la palla passa alla politica. Credo sia giunto il momento di una profonda riforma del sistema giudiziario, con o senza la sinistra a supportarla. A ognuno deve essere riconosciuta la responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Chi sbaglia deve pagare le conseguenze dei propri errori, anche professionali. Quattro anni di carcere basati sul nulla probatorio sono troppi, e troppo grossi da digerire per una nazione che pretende di basare la propria giustizia sulla certezza del diritto, della pena e del principio della innocenza fino a sentenza di condanna definitiva.

di Martino © 2011 Il Jester 


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