Ebbene sì, Anthony e Stanford convolano a inattese nozze. I due personaggi gay del serial tv di culto "Sex and the City", che in realtà non si sono mai sopportati più di tanto, soprattutto quando Stanford era fidanzato con Marcus, il ballerino di Broadway, si sposano all'inizio del secondo capitolo cinematografico sempre diretto da Michael Patrick King. E ovviamente lo fanno nella maniera più kitsch immaginabile: in un elegante cottage fuori città, Anthony allestisce un rutilante set "fantacamp" dalla dominante bianca con rigagnoli e ponticelli, candidi cigni, un coro gay e - udite, udite - l'apparizione di Sua Favolosità Liza Minnelli, in buona forma anche perché "stuccata" a dovere, che si scatena con due giovani ballerine-cloni sulle note di "Single Ladies" di Beyoncé. "Liza si manifesta quando l'aria è ricolma di energia gay!" ribadisce Miranda mentre Carrie ripete al marito Mr. Big che "non è un matrimonio gay, e un matrimonio e basta!" per poi ritrattare: "È un matrimonio gay!" quando comprende il livello di stucchevolezza della cerimonia.
Pur durando quasi due ore e mezza, "Sex and the City 2" regge piuttosto bene il ritmo e si allinea agli standard del precedente, indirizzato a un target preciso di donne e gay, almeno conoscitori se non fan della serie televisiva (anche il primo film iniziava con una scena omo: le quattro amiche, per strada, incrociano un bellone che subito dopo bacia e abbraccia un ragazzo). Nel séguito, più disinvolto e spassoso, gli elementi queer si intensificano anche se della neocoppia di sposi gay non se ne sa più nulla: quando le girls sono invitate ad Abu Dhabi - in realtà si è girato in Marocco - ognuna di loro ha un maggiordomo personale e a Samantha viene assegnato un ragazzo vistosamente effeminato, Abdul detto Paula (Paula Abdul era negli anni '80 una celebre cantante e ora fa la giurata al talent show "American Idol").
Charlotte è invece preoccupata per l'avvenente giovane tata pettoruta lasciata a New York insieme al marito e alle due figlie ma scopre con sollievo che è lesbica. Per la gioia del target di cui sopra, non manca una squadra di rugby australiana che si spoglia voluttuosa in piscina e una serie di polposi nudi posteriori dei vari fustacchioni, tra cui un playboy danese, che Samantha si porta sotto le lenzuola a ciclo continuo, terrorizzata all'idea di piombare in una temuta menopausa contrastata con quantità industriali di ormoni in pillole tragicamente sequestrate all'aeroporto di Abu Dhabi.
Le gag più spiritose sono appannaggio proprio di quest'ultima, ormai l'unica single del gruppo - strepitosa la crisi di nervi quando le strappano la borsa colma di preservativi in pieno suk - mentre le altre ragazze hanno vari problemi nella loro vita più ordinaria di mogli/madri mediamente insoddisfatte: Carrie non tollera più la sindrome letto+tv in cui è precipitato il suo ormai mollaccione Mr. Big e si lascia tentare da un colpevole bacio con l'ex Aidan (John Corbett) miracolosamente ritrovato a comprare e vendere tappeti in Medio Oriente; Miranda lascia lo studio legale perché non ne può più di avere i piedi del suo boss in testa e riesce così a dedicare più tempo alla famiglia; Charlotte ha invece bisogno di una pausa dal frenetico impegno quotidiano di mamma (a lei spetta una delle battute più riuscite: "Se penso che mio marito potrebbe tradirmi con la bambinaia, penso: oddio, non posso perderla!").
Sembrano infine quasi giustapposti i due camei vip di Penelope Cruz e di Miley Cirus, la baby diva di Hannah Montana.
Gli appassionati troveranno tutto quello che cercano, in particolare una cascata di abiti griffatissimi (Dior, Mara Hoffman, Hermés, etc.), sempre più al confine tra glam e trash, scelti dalla veterana Patricia Field con quattro collaboratori, e accessori modaioli firmati Manolo Blahnik, Jimmy Choo, Christian Louboutin, Jean Paul Gaultier, Yves Saint Laurent, Chanel e via discorrendo, un "product placement" davvero sfrenato che comprende anche celebri marche quali Mercedes, Lipton e Hewlett Packard. Se in periodo di crisi tale esibizionismo consumista può sembrare quanto mai sfacciato, bisogna prendere "Sex and the City 2" come un sogno naif di libertà e indipendenza al femminile (ma il confronto con la cultura islamica è talmente superficiale che potrebbe irritare qualcuno) e riconoscere il fenomeno mediatico che rappresenta.
Negli States ha esordito maluccio, 32 milioni di dollari contro i 43 di "Shrek 4" mentre nel primo weekend in Italia è subito balzato in testa al box office con più di un milione e seicentomila euro di incasso, centomila in meno, però, del primo episodio che nel mondo aveva raggiunto la faraonica cifra di 415 milioni di dollari. Riuscirà a bissarne il successo?