“Never run with the crowd Margaret, go your own way!” (Non mettere dietro agli altri, Margaret, vai per la tua strada!), è questa raccomandazione del padre della futura Lady di Ferro, al secolo Margaret Hilda Thatcher, nata Roberts, futura Baronessa Thatcher di Kesteven e futuro Primo Ministro del Regno Unito, dal 1979 al 1990, la vera chiave di lettura della vita di questa straordinaria donna britannica che ha plasmato la Storia e il destino del suo Paese. Ma non solo. Non so infatti (e non mi preme verificarlo), se questa raccomandazione sia mai stata fatta dal genitore della Thatcher, o se si tratti più semplicemente di altra perla aforistica caduta dal cestino di Abi Morgan mentre lavorava alla sceneggiatura di The Iron Lady (2011), il film diretto da Phyllida Lloyd e magistralmente interpretato da Meryl Streep, ma è indubbio che solo simili visioni di ciò che dovrebbe essere il nostro modo di proporci e dunque il nostro destino possono portare ai risultati ottenuti da questo formidabile cittadino del nostro tempo.
The Iron Lady in quanto trasposizione cinematografica della vita di MT,Margaret Thatcher, si risolve in un ritratto a posteriori fatto dalla stessa protagonista attraverso un ideale dialogo con il defunto marito Denis Thatcher; un dialogo che se dentro l’asse comunicazionale interno è visto dagli altri characters come conseguenza di un progressivo declino mentale dell’ex Lady di Ferro, rivela sfumature di una coscienza-dell’essere affatto sminuita dal passare del tempo, dall’età che avanza e semmai solamente “addolcita” dal dolore del ricordo e della separazione dal compagno di una vita. Da questo punto di vista quindi non mi riesce di capire il perché la famiglia si sia completamente dissociata dal racconto fictional presentato dalla Lloyd nelle sale cinematografiche di tutto il mondo e che ha portato alla Streep un Oscar per una interpretazione davvero straordinaria.
Certo, questo lavoro, soprattutto in chiusura, e qui e là durante l’intero scorrere, mostra momenti di stanca che fanno rimpiangere il genio sceneggiaturale visto in produzioni quali The Social Network (2010) e The Kings’ Speech (2010), tuttavia, ha l’indubbio pregio di avere riportato attenzione su un difficilissimo periodo della Storia inglese, ma anche della Storia mondiale. Un periodo che per molti versi ha tanto in comune con le “difficoltà” del momento attuale. O che, per altri versi, si potrebbe argomentare, è alle origini dello sfascio economico corrente. Dipende dai punti di vista, appunto, ma proprio per questo è pure indispensabile analizzare le importantissime tematiche che il film propone separatamente. A mio avviso, i discorsi pregnanti che tratta (oltre al raccontare la vita della Thatcher), sono essenzialmente tre: il discorso donne e politica (quanto mai attuale in Italia), il discorso leadership-politica-carismatica (quanto mai attuale in tutta Europa), il discorso crisi del sistema politico-economico (quanto mai attuale dovunque nel mondo).
Parliamo allora di donne e politica. “Non sarò mai una di quelle donne, Denis, che se ne stanno belle e silenziose tra le braccia del marito o da sole in cucina a lavare i piatti per dirne una. La vita di un individuo deve fare una differenza, Denis, oltre il lavare i piatti, il cucinare, il fare le pulizie, l’avere una famiglia. La vita di un individuo deve significare di più. Io non posso morire lavando una tazzina da te, Denis. E sono seria, Denis. Dimmi che lo capisci!”. Sono queste le parole che Abi Morgan mette in bocca alla figlia del droghiere Roberts, quando accetta la proposta di matrimonio fattale dal piccolo imprenditore Denis Thatcher. E sarà quindi sempre questa la filosofia di vita che ispirerà tutto il percorso personale e politico di questa signora di ferro così come portata sullo schermo. Una signora di ferro che per “arrivare”, per realizzare il suo sogno dovrà lottare per abbattere barriere intime (vedi il malcontento in famiglia quando decide di correre per la carica di leader dei Conservatori), barriere di classe (per quanto grande fosse l’orgoglio di essere figlia di droghiere, soltanto sposando Denis Thatcher ha avuto modo di superare dati ostacoli che avevano determinato molte delle sue prime sconfitte politiche), barriere costituite semplicemente dal suo essere donna in un mondo governato da uomini. “Con tutto il rispetto generale, ho dovuto combattere sempre, ogni santo giorno della mia vita e sono stata sottovalutata da molti uomini in passato” non esita infatti a ribadire all’ambasciatore statunitense una combattiva Margaret in piena guerra delle Folkland. E non fa marcia indietro! Innegabilmente un grande esempio di capacità di gestione del potere fuori dalla logica della dipendenza dall’input maschile. Un esempio unico soprattutto quando guardiamo a ciò che abbiamo prodotto nell’Italia repubblicana, a destra come a sinistra (perché questa è la realtà, che lo si voglia oppure no!), in materia di elemento femminile al governo. O meglio, in un Paese in cui se si vuole dare un esempio di come dovrebbe proporsi una donna in politica probabilmente occorrerebbe guardare indietro fino al tempo di Elenora d’Arborea!
“Sink it!”. E’ invece questo comando perentorio con cui la Thatcher dà ordine alle truppe inglesi di affondare il General Belgrano, l’incrociatore della marina argentina che stazionava a difesa delle isole Falkland durante la guerra per ristabilire la sovranità britannica sulle stesse (1982), che Margaret Roberts rivela tutta la sua innata capacità di leadership. E il suo indubbio carisma. Perché essere grandi leader significa anche essere capaci di prendere decisioni difficili nel presente allo scopo di essere ricordati nel futuro. Il fermo impegno nella difesa delle Falkland, portato avanti anche per restituire dignità all’orgoglio patriottico in crisi, e condotto all’insegna del credo “Io non negozierò con una banda di criminali e di assassini!” e del motto “O ci muoviamo per principio… o non ci muoviamo affatto!”, rappresenta senz’altro il momento di maggior fulgore della stella del boss Margaret Thatcher. Un momento di gloria che per qualche tempo la trasformò da “Primo Ministro più odiato della Storia britannica” nello zuccherino (darling) della nazione, finanche cantata da qualche ispirato compositore con queste sorprendenti parole: “Margaret Thatcher is so sexi, she is the girl for you and me…”.
Ma, è noto, ogni medaglia, per quanto brillante, ha un suo rovescio. E se una parte del Regno Unito (o per meglio dire della casa-madre, l’Inghilterra), poteva certamente gioire dei successi della ragazza di Grantham (Lincolnshire), vi era un’altra dimensione civile che era lungi dal pensarla “così sexi, la ragazza per me e per te…”. Perché la leadership, la vera leadership (quella dei leader nati tali, non quella dei leader-fantoccio), porta seco degli effetti e dunque delle responsabilità. Responsabilità che da politiche si trasformano in civili e quindi possono diventare di fondamentale importanza per una nazione. L’altra faccia del modus governandi thatcheriano racconta infatti una Inghilterra proletaria che viveva uno dei periodi più tremendi della sua Storia, con un tasso di disocupazione (procurata anche dalle misure thatcheriane che colpirono l’industria manufatturiera) altissimo e con una di instabilità civile senza precedenti. Pensiamo, per esempio, all’altro grande braccio di ferro del 1981 che vide la Thatcher fiera avversaria dell’IRA quando alcuni membri di quel movimento iniziarono lo sciopero della fame per riottenere lo status di prigionieri politici. La lady di ferro non cedette e dieci di loro morirono, iniseme al famosissimo Bobby Sands. I veri scontri con i sindacati (Trade Unions) iniziarono invece tre anni più tardi, culminarono con la dichiarazione di “sciopero ad oltranza” posto in essere dal sindacato dei minatori che si opponeva alla chiusura di molte miniere, ma ebbero una sola vincitrice: manco a dirlo, l’ex ragazza Roberts, sposata Thatcher.
“Dove c’è discordia, che si possa portare armonia. Dove c’è errore, che si porti la verità. Dove c’è dubbio, si porti la fede. E dove c’è disperazione, che si possa portare la speranza” recitò la lady di ferro, parafrasando San Francesco d’Assissi, subito dopo la sua elezione a Primo Ministro del Regno Unito nel 1979. Difficile dire che nel portare avanti questa filosofia a suo modo minimalista, Margaret Thatcher abbia avuto altrettanto successo. Non sarebbe essere completamente onesti, infatti, se non si si scrivesse che la memoria della governance-thatcheriana, una governance tutta pensata per una Gran Bretagna liberata da ogni “germe” socialistico, non sia delle migliori nella nostra contemporaneità. Da questo punto di vista due sono stati a mio modo di vedere gli errori principali da lei commessi. Primo, non avere saputo riconoscere il “limite” che è implicito nella gestione di ogni potere di tipo democratico (questo errore di fatto le è costato il tradimento dei fedelissimi e quindi le ha procurato la sfida interna per la leadership del partito che l’ha portata infine a dare le dimissioni); secondo, non avere capito che il Regno Unito del suo tempo, non era più l’impero della grande Regina Vittoria e che quel Suo Paese aveva necessità che andavano oltre le necessità della “grandeur” sciovinista fine a se stessa. Perché ogni Grande Paese dovrebbe essere amministrato, pensato, non in quanto “impresa”, ma in quanto cenacolo di uomini. E di donne. Di individui raziocinanti. Di spiriti. Di spiriti grandi e di spiriti piccoli, di spiriti ricchi e di spiriti poveri ma tutti accomunati dalla necessità di “essere” e di esprimersi in libertà. Dal “diritto” di poter essere e di potersi esprimere in libertà. Questo, lo ripeto, a mio avviso la Thatcher lo ha dimenticato. In molte occasioni.
Detto ciò, sarebbe pure rinnegare la Storia (sua personale, ma anche quella del suo Paese), se non si riconoscesse che Margaret Roberts, sposata Thatcher, è stata e rimane una grande donna. Sicuramente il più importante Primo Ministro britannico dopo Churchill. Sicuramente l’artefice di un percorso-di-vita (pubblico e privato) che bisognerebbe conoscere per imparare. Dai successi che l’hanno costellato, senz’altro, ma anche e soprattutto dai suoi errori perché, alla fine della giornata, è in fondo sempre da quelli che si impara di più!
Featured image, Margaret Thatcher e George Bush Junion (1986), fonte Wikipedia.