Grazie a osservazioni ventennali di pulsar con il radiotelescopio Parkes, una ricerca australiana pubblicata su Science ha utilizzato informazioni sulle onde gravitazionali per stabilire che i buchi neri super-massicci non possono acquisire tale massa solo inglobandosi a vicenda.
di Stefano Parisini17/10/2013 21:00Le onde gravitazionali distorcono lo spazio, alterando il regolare segnale delle pulsar captato dal radiotelescopio Parkes. Crediti: Swinburne Astronomy Productions
I buchi neri super-massicci, dalla massa di milioni o miliardi di volte quella del nostro Sole, sono corpi bizzarri ma tutt’altro che rari, visto che molte galassie – se non tutte – ne ospitano uno nel proprio centro, compresa la Via Lattea. Ma come fanno a crescere così tanto?
In un articolo pubblicato sul numero odierno della rivistaScience, un gruppo di ricerca – guidato da Ryan Shannon e Vikram Ravi dell’agenzia scientifica australiana CSIRO – mette a confronto le più avanzateteorie sul meccanismo di accrescimento dei buchi neri super-massici con i dati provenienti dal radio telescopio Parkes. Dati che hanno permesso di ottenere informazioni sulle elusive onde gravitazionali, increspature dello spazio-tempo generate da enormi masse in rapido movimento, predette da Einstein un secolo fa ma mai osservate direttamente.
Quando due galassie si scontrano per poi fondersi, anche il loro buchi neri centrali sono destinati a unirsi. Prima di fondersi, i due buchi neri danno vita a un danza vorticosa l’uno attorno all’altro, generando onde gravitazionali. Ripetuto innumerevoli volte in tutto l’Universo, questo processo di fusione deve permeare il cosmo con un sottofondo di onde gravitazionali, una sorta di vibrazione continua prodotta da un lontano e imponente balletto.
Una “vibrazione” che gli autori dello studio hanno intravisto grazie ai costanti segnali radio intermittenti provenienti da20 pulsar, minuscole stelle che nel loro ruotare frenetico funzionano come degli orologi precisissimi, i più precisi disponibili nell’Universo. Quando le onde gravitazionali attraversano un certa area dello spazio-tempo, producono unaperturbazione che allunga o accorcia le distanze tra gli oggetti in quella regione; nel caso delle pulsar, si verifica unalterazione nel tempo di arrivo degli impulsi sulla Terra.
Queste alterazioni sono state misurate dai ricercatori con una precisione del decimo di microsecondo utilizzando le osservazioni effettuate nel corso di un ventennio dal progetto PPTA, Parkes Pulsar Timing Array, con un contributo della Swinburne University.
«Il risultati ottenuti con la PPTA ci mostrano il livello di fondo delle onde gravitazionali» spiega Ramesh Bhatdell’International Centre for Radio Astronomy Research (ICRAR), coautore della ricerca. «L’intensità di questo fondo dipende da quanto spesso buchi neri super-massicci ruotino assieme prima di fondersi, da quanto siano massicci e da quanto siano lontani. Se il fondo risulta basso, questo pone un limite a uno o più di questi fattori.»
I ricercatori hanno quindi confrontato i dati osservativi con quattro modelli teorici sui meccanismi di accrescimento dei buchi neri super-massicci. Solo uno è risultato non consistente con le evidenze sperimentali, quello che addebita l’incipiente obesità dei buchi neri esclusivamente al loro processo di fusione.
«Questa è la prima volta che siamo stati in grado di usare informazioni sulle onde gravitazionali per studiare un altro aspetto dell’Universo» commenta Bath. «I buchi neri sono pressoché impossibili da osservare direttamente, ma con questi nuovi potenti strumenti siamo sulla buona strada per conoscerli molto meglio. Abbiamo già scartato una delle teorie sulla loro crescita; con nuove osservazioni metteremo alla prova gli altri modelli.»