Oniric, un racconto di Silvana Russo

Da Tizianogb



Apro gli occhi, è mattina. Guardo la finestra e vedo solo nebbia e penso " Oggi non sarà un bel giorno." Mi alzo, mi lavo e mi vesto. Mi getto in strada ma non ho voglia di prendere il pullman; non sopporto le persone e mi sono svegliata male. Mi decido, vado a piedi: preferisco finire sotto una macchina che stare in quella confusione, in quelle scatoline piene di sardine e sentire il maledetto tanfo delle persone che non capiscono che devono lavarsi, o peggio ancora sentire le loro urla e le loro stupide parole, che la mattina non sopporto. Mentre cammino sommersa nei miei pensieri sento una voce che mi sembra già di conoscere. Mi giro cercando di scorgere qualcosa nella nebbia ma nulla, non vedo niente. Continuo il mio cammino dandomi della pazza, poi risento di nuovo quella voce e questa volta capisco anche cosa dice: grida imperterrita il mio nome. Mi giro nuovamente ma non vi trovo nessuno, come la prima volta. Grido, chiedendo chi sia, ma non sento nulla e inizio a camminare più forte, ripetendomi che sono pazza. Ora sento dei passi alle mie spalle:  in un attimo qualcuno mi afferra alla nuca e m’immobilizza. Inizio a gridare cercando aiuto, ma nessuno sembra sentirmi. Mi scrollo, tento di divincolarmi: piango, urlo, imploro di lasciarmi andare - chiunque esso sia - ma nessuno risponde. Mi tiene ferma nel suo sadico gioco. Attimi, minuti che sembrano diventare eterni; continuo con i miei tentativi di fuga ma nulla, il mio aguzzino ha deciso che vuole torturarmi inghiottito da quella nebbia che cela tutto di lui. Una folata di vento mi lascia andare spingendomi lontano. Cado, battendo la testa, mi rialzo e inizio a correre gridando, ma la nebbia sembra aver divorato tutto e tutti finché non vedo un ombra avvicinarsi a me. Gli corro incontro e gli chiedo di aiutarmi. Lui cammina col volto chino e sembra non sentirmi. Gli afferro la mano nel gesto disperato di farmi vedere. Si ferma ,si gira ,alza il capo contornato da riccioli;  i suoi occhi scuri mi mozzano il fiato: sono freddi e impassibili ma ne sono attratta come fossero miele. Lui si divincola dalla mia presa afferrandomi a sua volta. Ora sono terrorizzata, ma non voglio andarmene: preferisco finire anche all'inferno per mano sua. La terra inizia a tremare, la nebbia si dirada; il cielo diventa nero come la pece e tutto intorno si odono delle urla:  sono voci cariche di dolore e di rabbia. Si apre una buca sotto i miei piedi e l'uomo stende l’altra mano e la spinge contro il mio ventre, penetrandolo. Mi solleva, stritolandomi dall’interno mentre mi guarda negli occhi, sorridendomi, e con forza mi getta all’interno della voragine. Una caduta che sembra non avere fine. Sono stanca, non ho forze, il sangue esce copioso. Ora mi lascio cadere, ormai è finito tutto. Desidero solo la morte. Chiudo gli occhi e dopo poco li riapro. Mi ritrovo nella mia stanza. mi guardo il ventre intatto. controllo alla finestra  entra un tiepido sole. Sarà per caso stato tutto solo un stupido sogno?
FINE