#OnTheTour | Courage

Creato il 24 luglio 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Saint Jean d’Arves

Odore di asfalto caldo e chiazze di ombra.
Volevamo andare alla partenza ma da qualche parte c’era scritto che la strada che porta alla Toussuire l’avrebbero chiusa dalle undici del mattino. Due ore prima della partenza, otto ore prima del passaggio. Cose impossibili che uno neanche a pagarlo si fa quindici chilometri a salire a piedi e quindici a tornare. Qualcuno va su in bici, si fa prima.
Voglio vedere la salita, la partenza è solo rimandata a domani.
Secondo una strana cartina del Tour da qui passeranno due volte. Scopriremo solo parecchie ore dopo che l’unico passaggio è quello delle cinque. Prima dell’arrivo.
Otto ore di attesa sono tante. Ma niente sarà mai come partire in bicicletta sotto il sole della una e mezza del pomeriggio.

E’ strano come, anche qui, in mezzo ai bambini che saltano, ai ragazzi che salgono senza maglietta e lo zaino pieno di birre, continuo a pensare che il ciclismo tiene accanto a sé troppe persone che non lo amano. Che non lo amano davvero, intendo. Apparenza. Tutti figli suoi.
Eppure l’anima di tutto resta sempre nella gente che sale chilometri per vedere il passaggio, non certo di quella che ha una striscia sulla macchina e il pass per il privè. Il ciclismo è come la vita, nel bene e nel male.
Forse è questo che autorizza a pensare a questi ragazzi come macchine da divertimento. Tu stai nel recinto, io faccio finta di proteggerti dalla gente, dal casino, da tutti quelli che ti vorrebbero toccare. E invece sei l’animale da divertimento. Possono toccarti solo quelli che voglio io.
Niente poesia in questo, non è detto che sia sempre tutto bello.
C’è che quando il divertimento non c’è allora si salvi chi può. E’ successo a Vincenzo Nibali. Adorato e denigrato. La montagna l’ha salvato, la montagna in discesa, la più pericolosa. La forza l’ha presa da queste Alpi che gli hanno fatto coraggio, forse.
Dalla gente che gridava Vincenzo con tutti gli accenti. Vicino a me c’è una signora con un vestito color pesca e una Sprite in mano. Quando arriva Vincenzo gli dice Alè, Alè, come lo direbbe una madre. E così fa con tutti. Bon courage. Courage! A tutti senza dimenticarne uno, con la stessa voce buona, dove la erre si arrotola con dolcezza. La Sprite viene sostituita da una borraccia, qualcuno gliel’ha lanciata. E’ un linguaggio muto da ciclista a tifoso: tu mi aspetti e io ti do l’unica cosa che in quel momento posso regalarti.
Ora c’è l’aria fresca, pioviggina a tratti, il sole sparisce e poi riappare tra le nuvole aggrappate ai fianchi della montagna. E’ il sole del pomeriggio, non da fastidio. Vincenzo non è ancora arrivato in vetta che già tutti elogiano la sua rinascita. E’ tipico di noi. Che vorremmo tutto perfetto e non siamo più abituati a vedere la bellezza.
Bon courage, ragazzi, questo Tour è quasi finito. C’è domani e poi Parigi. Bon Courage, Vincenzo. C’era una piccola curva italiana sulla strada per la Toussuire e noi siamo stati orgogliosi di gridare il tuo nome. Il resto conta poco. Non ci si diverte con la troppa fatica ma con il troppo cuore. Quello che serve per attacchi così.
Le Alpi sono di nuovo tue.
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