A volte è solo questione di arrivare sulle cose al momento giusto. E di ringraziare la memoria che continua a rimandare negli anni flash di dettagli, particolari inutili e irrilevanti. Correva l'anno 1997, sul Mucchio apparve una recensione molto positiva di questo disco. Preso dalla smania di costruire una discografia "di base" decente (all'epoca a occhio e croce non possedevo nulla o quasi di Dylan, per dire) ho lasciato perdere. Del resto, nulla sapevo di Gelb o Germano, men che meno dei Giant Sand o Calexico, e E-mule, ma anche Napster, erano concetti pressoché futuribili. Però il nome della band con quello strano gioco di parole mi sono rimasti in testa. Fino ad oggi, in cui mi trovo a parlare di un disco le cui tracce sono piuttosto rare perfino in rete. Non appare in nessuna classifica del decennio o del millennio, e l'unica recensione decente è su AllMusic. Un piccolo tesoro, peraltro musicalmente parecchio accessibile, all'interno del quale si intrecciano i talenti dei tizi nominati più sopra. Uno one-shot riuscitissimo, che trascende i canoni dell'indie rock per parlare di volta in volta in linguaggio del deserto (sintomatica in questo senso l'iniziale "Sand"), piuttosto che quello dell'alternative pop ("I tink of love", probabilmente una delle cose più accessibili della Germano e, si spera, quella che le garantirà una vecchiaia decente) o della sperimentazione (l'omonima OP8). Beninteso, non tutto il disco è memorabile, ma gli intrecci vocali della Germano e di Gelb a tratti possono far pensare a certi memorabili duetti di Nick Cave (Anita Lane? PJ Harvey?) spogliati dalla posa "notturno-oscuro-maledetta", e i sussurri della Germano, svuotati di qualsiasi volgarità o sensualità forzata, ben raccontano uno dei segreti, almeno per il sottoscritto, meglio custoditi degli ultimi 20 anni. Ovviamente il tutto condito con una perizia strumentale che è quasi un marchio di fabbrica.
Un disco da avere a tutti i costi.