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Opera di Roma a un passo dalla liquidazione: attacchi ai sindacati, proteste contro tagli enormi e altre opportunità. La cultura appartenga ai cittadini

Creato il 30 luglio 2014 da Cremonademocratica @paolozignani

Colpa dei sindacati, naturalmente. L’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di due giorni fa ovviamente prende di mira la casta di turno. Si crea il mostro per demolire chi si oppone bene o male al Santo Sovrintendente e ai suoi tagli a danno dei musicisti. Di Vico intervenendo in prima pagina non riporta neanche – lo avrà fatto il Corriere giorni fa – che il Sovrintendente dell’Opera di Roma ha proposto circa 200 esuberi, anzi l’editorialista sostiene che Fials e Cgil si ostinano nella difesa dei privilegiati primi violini che lavorano troppo poco. Se il violinista non è bravo, il pubblico prima o poi lo capisce. I primi violini lavorano poco: sì, il programma delle manifestazioni è stato ridotto pesantemente. Intanto però il bilancio di quest’anno è in ripresa. Vale la pena però di volgere la mente ad altre forme di organizzazione e di gestione.

Panorama.it ci spiega, a proposito della crisi esplosa in questi giorni, che

Tornando a Caracalla, resta confermato lo sciopero annunciato per domani sera dagli orchestrali, quindi, a meno di improvvisi e improbabili cambiamenti, anche la replica di domani della Bohème sarà accompagnata dal solo pianoforte della brava  e coraggiosa Enrica Ruggeri. Cgil e Fials restano fermi sulla richiesta di 631 lavoratori dell’organico stabile del Teatro, mentre gli orchestrali chiedono concorsi regolari per ampliare l’organico dell’orchestra, in modo che si arrivi alle 117 unità concordate anni fa. Oggi l’organico è fermo a 92 elementi e a ogni allestimento è necessario l’intervento di musicisti a chiamata, tutto a svantaggio dell’affiatamento e quindi della qualità del prodotto finale.

Quindi l’organico dell’orchestra è stato tagliato in modo feroce dai soliti veti a chi vuole lavorare. Qualcuno potrebbe lavorare e non lavora: mancano 25 musicisti. Addirittura il Teatro è costretto a ricorrere a musicisti a chiamata, che suonano qualche volta e poi se ne vanno sostituiti da altri. Precariato. Se le norme lo consentono come fanno i sindacati a cambiarle? Come fanno i cittadini a cambiarle se si dividono per partito preso?

Più che i sindacati, a demolire le orchestre e i teatri sono stati i proprietari, le leggi, gli sponsor. La fruizione della musica e della cultura via internet costa molto meno, con minore qualità ma opportunità maggiori. I teatri sui computer? Le orchestre sui cellulari? Ci sono casi virtuosi e altri meno. Se c’è sfruttamento, riduzione del lavoro, tagli dei finanziamenti, non può essere colpa dei sindacati che nemmeno partecipano alla gestione. E’ il solito problema nazionale: abbiamo troppe leggi inadeguate.

Ma la musica appartiene al pubblico. La cultura è un diritto di tutti. I cittadini hanno bisogno della loro musica, della loro Bohème, delle loro opere liriche, della loro musica sinfonica e da camera, come della musica di genere più leggero e diverso.

Per questo l’organizzazione non dovrebbe restare verticale. A teatro ci vanno coloro che fanno lo spettacolo (musicisti, attori…) e il pubblico. La proprietà delle attività culturali riguarda loro, gli interessati, chi produce e consuma, per così dire. Le leggi purtroppo le fanno i politici eletti nelle liste bloccate e solitamente poco competenti. I teatri sono di proprietà spesso di personaggi che guardano solo il bilancio. Bisognerebbe cambiare forme e modi.

Per fare un esempio, il teatro di prosa di Palermo si è guadagnato apprezzamento e pubblico recitando per strada.

Costa meno e avvicina i cittadini, i passanti. Si possono trovare nuove forme in luoghi meno chiusi (i teatri ormai sono contenitori costosi), bisognerebbe abbattere i muri e separare edilizia e cultura, come spesso si dice, e avvicinare il lavoro alla gestione. Ma anche il pubblico dovrebbe avere il diritto di dire la propria, a meno che si voglia decidere ogni cosa in una stanza chiusa fra pochi intimi.

I sindacati, cioè i rappresentanti eletti personalmente dai lavoratori della ditta, non strani personaggi che nessuno conosce, dovrebbero partecipare all’amministrazione: altrimenti saranno costretti solo a dire sì o no, subendo ogni volta le prevedibili critiche, ripetitive e improduttive, fatte solo per adulare chi detiene il potere di licenziare.

 


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