Operazione Vendicta: scoglio finale

Da Kisciotte @Kisciotte_Dixit

La Grecia è alle spalle, e con essa un antefatto lungo una settimana, che è bene conoscere per poter comprendere il fatto. Altrimenti non si chiamerebbe antefatto, ma spinterogeno. Il messaggio velato da cogliere, tra tanti sillogismi d’officina e metafore da cofano è: prima di proseguire leggete l’antefatto. Quindi se siete giunti fin qua e non siete gnucchi, oso affermare con una certa sicurezza che avete senz’altro letto l’antefatto; bene, mi fa piacere.
La Grecia è alle spalle – così principiai – e con essa una settimana intensa.
Io non vado mai in giro con macchina fotografica, mi piace che sia la sensibilità a impressionare la gelatina neuronale sulla lastra dei ricordi. Chiamatela pure vanità di chi pretende di dipingere con le parole.
Ho scattato immagini saporite, accompagnate da didascalie: moussaka, souvlaki, pita, kokoretsi, skordalia, saporite costine d’agnello, gustose fritture di pesce, polpo grigliato, yogurt e caffè entrambi marcatamente ellenici, accompagnati da miele, fichi, uva.E poi buon vino rosso e agro che in greco significa bianco.
Questi sapori hanno scandito colazioni, pranzi, ma soprattutto le cene tra le vie di Atene e le tavolate in riva al mare, nei tramonti di Mykonos, con le tovaglie a fare clap clap al vento.
Quando non si è abituati a certe atmosfere, si resta facilmente e felicemente impressionati.
Ad Atene ho visto il cambio della guardia davanti il Parlamento, giusto il tempo perché un aborigeno venisse a offrirmi il becchime per fare la foto con quattro piccioni in croce.Ora, io capisco che tu debba in qualche modo campare, ma se vieni a offrire il granturco a uno che ne ha già strapieni i coglioni dei mille piccioni in piazza Duomo, è inevitabile che quell’uno ti guardi con compassione e ti domandi “Mi prendi per il culo?”
Poi ho visitato i luoghi delle antiche vestigia della cultura e della civiltà greche: l’Agorà.

Il tempo logora l’asperità degli dei, rende antico e liso il tempio di Apollo, ma sa anche renderlo più umano e comprensibile, quando ho seguito il suono di una musica rigorosamente greca e, dietro una macchia di verde, su una panchina a pochi metri dalle colonne, vicino allo stereo ho visto un drogato che si iniettava dentro una caviglia un motivo per non crepare subito.Ecco il vero senso della caducità, della grandezza della polvere, ecco compreso il controcanto dei pietroni lisciati dall’uso, quel promontorio da dove partivano i discorsi agli ateniesi, embrioni di una democrazia staminale.Quanto assume più valore nella penombra di una siringa quell’eco del tempo antico, luminoso vagito di ogni contemporanea logica di pensiero.


Sono salito al Partenone, quasi in processione, conscio di calcare i luoghi dove meditarono i primi filosofi, dove tutti nascemmo uomini dell’occidente.
Solo il Partenone, un poco, mi ha deluso, perché, come mi insegnò un enologo, sono le aspettative che ci fottono nella vita.L’avevo visto sempre e solo dal basso, in tv o sulle stampe, magari in notturna.Me lo immaginavo più alto, imponente e soprattutto arancione! Arancione lo volevo! Al massimo ero pronto a venire a patti su un pompelmo rosé.Ma non un colonnato sciapo sciapo, un ocra “crania da sudore”, bassetto, sgretolatino, avvilito da impalcature.
Insomma cagionevole di salute il divin capannone.
E mi aspettavo pure tutta una interminabile scalinata costellata dai templi delle dodici Case dello Zodiaco. Invece soltanto il Partenone. A tal punto lo scempio di Arles ha fatto rovina della dimora di Atena e delle mie cellule grigie! A volte fa male dover fare i conti con la realtà (ovvero che ha vinto Arles e ha raso al suolo tutti i tempietti circostanti, aiutato dai cavalieri di Asgard, che Odino se li inculi a quei bastardi fottuti)
Scusate, mi sono lasciato prendere dall’emotività.
Comunque, aspettative a parte, al Partenone posso dire di esserci stato.
L’unica nota incazzosa mi è stata donata da nugoli di turisti giapposimilari e pure europei.Sotto svariati alberi di ulivo, ogni tanto, si riunivano a capannello e attaccavano a scattare foto in mezzo ai rami.


E click! E click! E facce entusiaste e al tempo stesso concentrate a immortalare al meglio. Per tutta la salita all’Acropoli mi sono guardato bene dal dare a chicchessia la soddisfazione di ridurmi pure io a curiosare tra i rami.
Snobbare i luoghi comuni (sotto gli ulivi) va a tutto vantaggio della fantasia.“Certamente staranno fotografando la rara civetta dell’Agorà oppure il cormorano dell’Acropoli.O forse hanno individuato un insperato nido di araba fenice, magari si sono imbattuti in una nidiata di draghetti rossi dell’Attica o di dodi volanti.”
Per farla breve alla fine mi sono compiaciuto di abbassarmi al dozzinale bisogno di cercare conferma con i fallaci sensi.Avrei fatto meglio a salvare almeno i draghetti arabi e i cormorani fenici, dopo che il Cavaliere di Libra e i suoi compari erano appena esplosi in una bolla di sapone.
Mi unisco ai fotoreporter del Natural Geographic, intenti a ghermire scatti manco fossero inviati dell’Agenzia Magnum.


Guardo tra le fronde. Riguardo tra le fronde. Bestemmio. Guardo pure sul tronco. Ririguardo tra le fronde. Non rimane che bestemmiare. Decisamente.
Cicale! Una banda di deficienti che vengono da ogni parte del mondo per essere ai piedi dell’Acropoli… e che cazzo fotografano?!?! Una cicala su un ramo! Fotografano le cicale. Ma porcoddio.
Chiusa la pratica Atene si è girato pagina a bordo del traghetto e sono arrivato a Mykonos.In spiaggia ho capito che il tempo ci divora tutti e il fratellino che mettevo in porta con la scusa di fare il portiere (bravo... bravo pirla), allenandolo invece a raccattare nel fosso i miei tiri sbagliati, ormai non esiste più.
Morto come Aristotele e Fidia.Morto come l’Araba fenice e il Cormorano dell’AcropoliMorto come Ioria del Sacro Leo, morto come Micene di Sagitter.Morto come un uomo da maritare che subito noleggia due ombrelloni e quattro lettini: due per coppia sposanda e due per mamma e papà.
L’ho guardato speranzoso e al contempo guaendo con gli occhi: “Noi adesso andiamo a giocare a palla, vero? Eh? Eh? In riva al mare eh? Come da piccoli. Vero?”Ma lui apatico, pallido, con le maniglie di adipe sui fianchi, vecchio dei suoi vecchianni, si è sdraiato parallelamente alla futura donatrice di prole, pannolini e caminetto dell’artrite senile.
Le orecchie si sono afflosciate, la coda si è afflosciata, la mandibola si è afflosciata, lasciando cadere la palla, pure afflosciata, la lingua ciondoloni sgocciolante saliva. Afflosciata pure la saliva.
Li ho rifiutati gli ombrelloni da famigliola parcheggiata in attesa del ricambio generazionale (dicesi morte).
Abbiamo preso e ce ne siamo andati insieme sugli scogli, da soli, lontani dalle agiatezze rammollenti da ombrellone e lettino.
Sulla dura roccia ci siamo temprati tra un bagno d’acqua e di sole.
Da soli, noi due, resistenti e indomiti nella fibra.
Eternamente vecchi nei pensieri, ma giovanotti nel cuore.
Il mio zaino ed io.
In attesa di tempi migliori.
Perché il tempo è galantuomo.
K.


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