L’ultimo rapporto della CEI per l’insegnamento della religione cattolica ha stabilito che per la prima volta, dal 1993/1994 quando venne fatta la prima rilevazione, i non partecipanti all’ora di religione nel 2010/2011 sono scesi sotto il 90 per cento: l’89,8, per la precisione. Piergiorgio Odifreddi ha festeggiato per una settimana e il tutto è culminato con un articolo di gioia sul suo imbarazzante blog in cui, a 62 anni e dopo 20 anni di asfissiante militanza laicista, implora ancora ai ggiòvani di essere più secolarizzati dei genitori (Karl Marx alla sua età aveva già rinunciato). Tuttavia essi se ne infischiano e nove su dieci scelgono di frequentare l’ora di religione.
Un dato eccezionalmente alto, sopratutto considerando che l’alternativa allettante è passare un’ora di svago completo (o addirittura tornare a casa prima), nella maggioranza dei casi. I dati della CEI sono in linea con quelli dell’Osservatorio socio-religioso del Triveneto il quale ha rilevato qualche mese fa un calo complessivo dello 0,2% rispetto all’anno precedente, con un incremento dello 0,2% nelle scuole superiori dove si arriva all’83,7%. Ben oltre il 91% alle materne, 93,4% alle elementari e 91,3% alle medie.
Qual’è la causa di questo -0,2%? Felice Nuvoli, professore associato di Pedagogia generale nell’Università degli studi di Cagliari, ha spiegato i motivi: «Non siamo certamente davanti a una fuga dall’ora di religione, come ha invece scritto qualche giornale usando toni trionfalistici, ma c’è un problema nell’insegnamento della religione nella scuola italiana». Si tratta della diminuzione costante di religiosi, sacerdoti o suore, e di un aumento del personale laico insegnante. Continua Nuvoli: «Il problema è che i sacerdoti dovrebbero porsi il problema di andare a insegnare religione nelle scuole. Tale insegnamento è infatti una possibilità di incontro con il mondo giovanile che viene letteralmente bruciata se i preti rimangono sempre rinchiusi in sacrestia o in parrocchia», magari a preparare lunghe e poco utili omelie di incomprensibile analisi teologica (con i vari «spezziamo il pane della parola» e robe simili). Veri e propri “abusi liturgici” come spiega benissimo don Nicola Bux in “Come andare a Messa e non perdere la fede” (Piemme 2010).
Invece, continua Nuvoli, «io, che sono sacerdote e che insegno anche in una facoltà teologica, ai seminaristi dico sempre di dedicare la mattina alla scuola perché quello è il terreno dove possono incontrare i giovani. Secondo me è proprio l’incontro con la figura del sacerdote che permette all’ora di religione quell’interdisciplinarietà unica nel suo genere. Si può fare religione parlando di letteratura o parlando anche di cronaca, ma a condizione che il termine di paragone sia chiaro». Il sacerdote «rende visibile il sacramento, non un insegnante con gli altri». Nessuna storia delle religioni o una cultura vagamente religiosa, «no, ci deve essere la proposta di tipo tradizionale, che è quella della presenza della Chiesa nel mondo, una presenza di tipo educativo e che per forza di cose ha bisogno che sia il sacerdote a fare l’ora di religione». Conta moltissimo anche la famiglia, il suo ruolo educativo e l’equilibrio che fornisce al giovane infatti «nel sud Italia invece, dove c’è ancora in qualche modo un tessuto familiare forte, la percentuale di coloro che frequentano è più alta». Rimane comunque l’inesistenza «di una esperienza effettiva ecclesiale in quell’ora lì».