Nella penombra fresca luminosa di questo mattino di tarda estate, con qualche nuvola bianca nel cielo verso la Liguria – lo stesso cielo ma turchese sgombro e brillante verso le colline – nel silenzio della casa, nell’aria frizzantina che entra da una finestra appena socchiusa e regala un brivido sulla pelle appena coperta dalla sottoveste di sera che usi per dormire, nel profumo della terra e dell’asfalto – bagnati dalla pioggia caduta stanotte – tu adesso vuoi.
Vuoi veloce e molto forte, così forte da urlare.
Vuoi piano e lento soltanto verso la fine quando l’ urlo si spegnerà in uno spasimo ed un brivido lungo concluderà.
Ci sarà tempo per le parole dopo, per le carezze per le cose consuete: caffè colazione pulizie ed altri accidenti quotidiani.
Senza aprire gli occhi ti volti ed allunghi la mano, trovi quel che stamattina vuoi, accarezzi con le dita. Lui risponde seguendo con la sua mano la tua mano, insinua la sua gamba fra le tue gambe, ti trova con la bocca.
Ora ti apri, ti allarghi, ti fai spazio e confine.
Subito.
Forte tanto che fa male come l’attrito.
Subito, forte ed il confine diventa cedevole, liquido.
Più forte, più svelto: ti muovi allo stesso ritmo poi acceleri ancora: presto, presto.
Ora.
Patrizia CavalliBene, vediamo un po’ come fiorisci,
come ti apri, di che colore hai i petali,
quanti pistilli hai, che trucchi usi
per spargere il tuo polline e ripeterti,
se hai fioritura languida o violenta,
che portamento prendi, dove inclini,
se nel morire infradici o insecchisci,
avanti su, io guardo, tu fiorisci.
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