Gli oranghi sono in pericolo di estinzione a causa di molti nemici che vanno dall’industria del legname all’attività mineraria o alla deforestazione per alimentare l’industria della carta. Il pericolo maggiore che minaccia la loro sopravvivenza è data dalla conversione delle foreste in piantagioni di palme.
Al momento, questi animali sono, a loro insaputa, al centro di una rivoluzione silenziosa che si svolge nei supermercati. Molte società, infatti, promettono sempre di più di passare dall’attuale produzione di olio di palma ad altri sistemi che non implichino la distruzione delle foreste.
Nel corso degli ultimi 11 mesi più di una decina di grandi società che producono, comprano o impiegano olio di palma hanno utilizzato solo materia prima che non sia frutto di deforestazione.
Questa scelta, che comprende già il 60% del ciclo degli affari legati all’olio di palma, metterà in difficoltà molte società che non adotteranno queste politiche di salvaguardia.
L’olio di palma è presente in migliaia di prodotti usati in tutte le case, dall’igiene personale ai cosmetici al cibo industriale; è presente in circa metà dei prodotti presenti nei supermercati.
Circa l’85 per cento dell’olio di palma mondiale proviene da piantagioni in Indonesia e Malaysia, dove sono state abbattute vaste aree di foresta per far posto alle lucrose piantagioni di palma da olio.
Secondo il rapporto di Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), un’organizzazione di produttori, commercianti, industrie manufatturiere, investitori e organizzazioni non governative nata nel 2004 per mettere a punto dei criteri per la produzione sostenibile di olio di palma, in Indonesia, Malaysia e Papua Nuova Guinea, dal 1990 al 2010, sono stati trasformati in piantagioni ben 3.500 ettari di foresta.
L’olio di palma è un prodotto utile e richiesto per varie ragioni. Ha vari usi e si conserva più a lungo di altri oli vegetali. La palma è più economica e cresce più facilmente rispetto ad altre piante da olio, e soprattutto ha una resa molto elevata, in quanto, i frutti contengono ben il 50 per cento di olio, e crescono tutto l’anno.
Ciò significa anche che una piantagione di palme da olio richiede meno terra rispetto ad altre piante da olio come la soia che richiede circa 10 volte più terra e quindi comporta maggior perdita di foresta, maggiori rischi per le specie animali ed espone maggiormente le popolazioni indigene allo sfruttamento da parte delle grandi società multinazionali.
(fonte: http://www.nationalgeographic.it)