Prendo quello che mi dai, un biglietto scritto, stampato in comode righe allineate; una canzone usata e una nuova che diventerà usata per altri che nemmeno so, una maglia a quadri, un pennello che dipinge acquerello e acqua, a volontà.
Prendo un caffè, lo zucchero sciolto nel senso del vento, non ti distrarre; un libro e ancora mille, dalle mensole ove la polvere posa dispetti e ricordi; un pane azzimo, uno molle di umido e una pasta dolce, a ravvivare le finestre spente.
Prendo quello che mi dai, non pretendo, un filo di parole, un bottone solo, un ago che cuce, rappezza, rinnova, un divano, un tappeto, una poesia; un ramo di vischio, una polpetta, un capello bianco, le tue malattie, me le attacchi addosso, non conta, si può rimediare al senso di vuoto e di malinconia. E se non si rimedia pazienza, s’è sparsa la semenza e qualche prato si fertilizzerà.
Prendo quello che mi dai, lo vedo dagli occhi che ne hai, di tempo, di spavento, di estasi e tenerezza. E anche se non fosse pazienza, ho visto dentro, m’affaccio al bancone e ordino uno sguardo.
Di quello di certo ne hai, non ne sarai mai privo.
Ecco uno sguardo, un ritardo, un presente, quello che mi dai, lo prendo, non resto in silenzio, ringrazio e me lo tengo.
Chiara