Quattro giorni strani, questi appesi tra Santo Stefano e fine anno.
Ore occupate da trascorrere al lavoro, con l’azienda semivuota, perché noi siamo quelli che chiudono le attività dell’anno. Esercizi di pazienza e attesa.
Ore libere da incastrare per salutare amici, fare con loro quattro passi appena possibile, chiacchierando per scaldarsi, o scrivere email nella quiete della mia stanza che profuma, come ogni dicembre, di cannella, anice e chiodi di garofano. Caldo di calorifero e spezie.
Ore ritagliate per finire di leggere un libro e poi portarlo via con me, nei pensieri, e lasciare che le sue parole decantino e si fissino nella memoria. Conversazioni mentali con persone mai conosciute, morte da tempo eppure stranamente reali.
Ore lunghe di sonno che non bastano mai, tra sveglie che suonano alle sei e finestre che si spalancano sulla brina bianca del mattino. Freddo che sveglia, tra i brividi, mentre scende il caffè e il succo di tre arance rosse riempie un bicchiere.
La borsa è pronta da giorni, piccola, compatta, leggera. Io sono pronta da molto più tempo.
E queste ore di transito mi rendono insofferente, inquieta, distratta.