Noi non facciamo arte…
Il motto che Roberto Recchioni ha scelto per i protagonisti di Orfani, Noi non facciamo arte, noi facciamo cadaveri, è un preciso messaggio metafumettistico, consapevolmente scelto dall’autore per rappresentare le caratteristiche della sua serie: avventura supereroistica cinetica, violenta, senza particolari pretese “artistiche”.
Accidentalmente, esso si è da sempre confrontato anche con la dimensione culturale, che non solo gli appartiene, ma ne è matrice. L’opera creativa veste le due facce dell’arte e dell’intrattenimento, poiché l’una rappresenta in qualche modo la vocazione divina (non in senso religioso, ma come atto creativo totale); l’altro, la necessità di occupare il proprio tempo libero.
La mente crea per conoscere, per rapportarsi con il mondo, e per incontrare i propri demoni interiori. Crea per passione, per desiderio, per necessità egoiche, per liberazione del proprio sé interiore, per necessità economiche.
Nei Tarocchi di Marsiglia, la creatività è rappresentata principalmente dal XV Arcano Maggiore, Le Diable (Il Diavolo): tentazione, rischio, pensiero innovativo, provocazione, inconscio e scoperta. Lucifero mette luce dove è più buio, nel cuore dell’Inferno della nostra coscienza, nell’inconscio più profondo.
Che cosa vuol dire, quindi, oggi realizzare una serie a fumetti che abbia come piena vocazione quella di realizzare un prodotto di intrattenimento, all’interno della casa editrice più importante in Italia?
Perché innovare
Orfani è, da molti punti di vista, un prodotto di intrattenimento innovativo per l’editoria seriale italiana, in particolare per la Sergio Bonelli Editore. Alcuni aspetti (portanti) sono talmente evidenti e indiscutibili, che ritengo inutile argomentarli. Eccone un elenco:
– il linguaggio fumettistico, particolarmente rapido, dinamico e d’impatto (sia dal punto di vista visivo, che dei dialoghi) con conseguente riduzione dei tempi di lettura di ogni numero, rispetto alla media del fumetto bonelliano;
– la costruzione della serializzazione degli episodi, con la storia regolarmente divisa in due sezioni (passato/presente) dove la prima introduce e dà senso alla seconda;
– la continuity serrata e senza alcuna interruzione, che non richiede alla narrazione interna la necessità di riassumere quanto successo nelle puntate precedenti (aspetto lasciato alla parte redazionale);
– la compattezza stilistica della parte grafica, con una cura esasperata dell’armonizzazione tra gli stili dei diversi disegnatori che si sono alternati nella serie, grazie anche all’uso dei colori;
– la cura nella colorazione digitale, che diventa parte matura e consapevole della narrazione;
– i riferimenti stilistici al mondo dei supereroi statunitensi, che in modo pervasivo danno cornice e senso all’evoluzione degli eventi e al comportamento dei protagonisti.
Questo elenco, da solo, dovrebbe costringere tutti a una riflessione: sono innovazioni utili al seriale Bonelli oppure no?
Non è possibile rispondere in modo univoco a questa domanda. E l’articolazione della risposta deve necessariamente confrontarsi con altri due temi: i destinatari privilegiati della serie (il target? I lettori di riferimento?); il risultato qualitativo della serie (a questo punto sì, il giudizio di merito deve entrare in gioco).
La mia idea, che anticipa le successive riflessioni, è che Roberto Recchioni e il suo gruppo abbiano fatto un lavoro necessario per l’attualizzazione (termine più adatto a innovazione) dell’impostazione narrativa di una serie Bonelli, in particolare per quanto riguarda il “linguaggio”, la compattezza stilistica e la colorazione. E che il risultato ottenuto dal punto di vista qualitativo sia in gran parte positivo.
Innovare o scippare
Come accennato, in Orfani più che di innovazione, dovremmo parlare di attualizzazione. Tale termine richiede di introdurre un concetto fondamentale, quello della contestualizzazione dei riferimenti valutativi, che altrimenti rischia di banalizzare completamente il ragionamento intorno alla serie.
Si potrebbe dire, sintetizzando al massimo, che Recchioni non abbia inventato nulla, ma abbia portato all’interno di un mondo produttivo ed editoriale una serie di concept e impostazioni già ampiamente consolidate in altri ambiti fumettistici, in particolare quello del fumetto supereroistico americano che, dal punto di vista della complessità stilistico-narrativa è senza dubbio più attuale della maggior parte degli stili narrativi bonelliani.
Non c’è scelta, narrativa o linguistica, operata da Recchioni che non abbia una matrice supereroistica. Al punto che certi eventi o comportamenti dei protagonisti appaiono comprensibili solo se questo pre-testo è chiaro e preconizzato. Gli Orfani sono supereroi, la storia parla di uno scontro tra supereroi, lo sviluppo psicologico dei protagonisti è coerente con il manicheismo estremo dei supereroi, le scelte che operano sono all’insegna del pathos e dell’esasperazione propria dei supereroi, ecc.
Questo processo, che l’autore non ha mai nascosto, si configura quindi come un semplice scippo di contenuti, stili e meccanismi produttivi altri, oppure prende vita da una rielaborazione e ridefinizione consapevole e inedita della matrice? La risposta sta nel mezzo.
Un esempio della matrice supereroistica soggiacente alla serie. Da sinistra: la sequenza della morte di Juno da Orfani #11 e la sequenza della morte di Jean Grey da Uncanny X-Men #100
Recchioni è riuscito, in questa prima stagione, a dare forma a una storia che funziona, che diverte e coinvolge senza che appaia stonata, fuori contesto, eccessivamente derivativa. Con la collaborazione di un gruppo di disegnatori eccellenti e perfettamente guidati, è riuscito a realizzare un fumetto di supereroi italiano, anzi bonelliano, senza che il lettore si senta a disagio o fuori luogo rispetto ai propri riferimenti culturali. Intanto perché Orfani promette quel che offre, grazie alla coerenza del progetto editoriale (sia sul piano grafico che pubblicitario), e poi perché la storia armonizza i cliché supereroistici con meccanismi tipici del fumetto avventuroso italiano.
D’altra parte, non sono pochi gli scarti narrativi, gli eventi o le situazioni che appaiono giustificate, più che da una coerenza interna della fabula o della psicologia dei personaggi, proprio dal riferimento a cliché propri dei comics di supereroi. In alcuni passaggi, anche topici, il muoversi degli eventi sembra condotto più da necessità esterne, stilistiche o culturali, piuttosto che interne. In questi passaggi, nel lettore rischia di interrompersi il processo di immersione e identificazione con la storia, processo che nei prodotti di intrattenimento appare centrale, se non vitale.
In ogni caso, Roberto Recchioni ha scelto una via non semplice per un processo che altri autori in Bonelli, in modo più o meno visibile, stanno sviluppando con presupposti molto diversi: storie con tempi di lettura più rapidi, dove viene omessa completamente la ridondanza testo/disegno, dove il linguaggio (visivo e verbale) diventa più maturo e sintetico. Se Berardi, Calza e Montero su Julia portano avanti un discorso simile da molti anni, con una maturità e un’esperienza consolidata, ma attraverso un approccio più letterario e intimo; se Bruno Enna prosegue con Saguaro nel suo esperimento di innovare all’interno dell’avventura classica, modulandone costantemente i limiti; Recchioni ha utilizzato il decennale pre-testo supereroistico dei comics per accelerare l’attualizzazione del racconto bonellide.
Di cosa parla Orfani
L’autore romano, senza cadute buoniste o retoriche, sviluppa anche una serie di interessanti riflessioni sulla politica, il potere, la verità, il bene comune, la giustizia, la famiglia, la guerra, la rivoluzione. Appare decisamente apprezzabile la sua capacità nel nascondere questi temi dietro agli eventi, salvo farli emergere sempre con grande sintesi in momenti importanti della narrazione, soprattutto nella seconda metà della stagione, quando le nuove verità rivelate mandano all’aria tutti i punti di vista. È qui, nel confronto tra gli Orfani, in particolare, che Recchioni riflette sulle ipocrisie e i compromessi su cui è costruita la convivenza civile. Con buona consapevolezza e un ottimo senso dello humour, che ho particolarmente apprezzato, l’autore, in conclusione, porta al ridicolo il motto stesso degli Orfani (citato in apertura di articolo), decomponendo il principio metafumettistico provocatorio della serie. Non saranno più i cadaveri il principio guida della serie ma la rivoluzione. Un bel cambiamento, non c’è che dire.
Perché Orfani è perfetto
Sul piano produttivo, quindi, Orfani appare completamente riuscito. L’esempio più importante riguarda il comparto grafico.
Seguo da tempo la carriera di tutti i disegnatori che si sono alternati nei primi dodici numeri della serie, e vedere come sono riusciti a omogeneizzare il proprio stile senza snaturare per nulla il loro talento, dimostra la cura e la chiarezza di intenzioni alle basi del lavoro di tutti. Tanto più per una serie che ha una continuity così serrata e che deve favorire un’immediata immersione del lettore negli eventi di ogni nuovo numero.
Ad aiutare questo processo di coerenza stilistica ha giocato un ruolo fondamentale la colorazione digitale, pensata, progettata artisticamente come chiaro perno narrativo, consapevole e perfettamente riuscito. Non una sbavatura, non una scelta priva di logica, e in alcuni passaggi la possibilità di prendere totalmente la scena, come può e deve essere. Se di attualizzazione consapevole degli strumenti narrativi nel fumetto seriale abbiamo parlato in precedenza, è proprio osservando questi risultati che ci è possibile coglierne il senso al di là degli intenti programmatici.
Perché Orfani non piace
Orfani convince molto meno, quando si analizzano i dettagli narrativi. La sintesi ricercata da Recchioni e i riferimenti alla cultura supereroistica hanno spesso portato a un eccesso di schematismo negli eventi. È soprattutto la caratterizzazione psicologica dei protagonisti a risentirne, il loro modo di muoversi, di parlare, di modificare le azioni in relazione al progredire degli eventi.
Da un lato, le scelte dei protagonisti sembrano a volte eccessivamente dovute allo sviluppo della fabula. Il concept e il suo evolvere prendono il sopravvento sulla coerenza psicologica dei personaggi. I loro comportamenti risultano quindi forzati, a volte apparentemente immotivati. Da questo punto di vista si rivede uno dei limiti principali della scrittura di Recchioni: la volontà programmatica di spingere al massimo nella direzione dell’avventura a tutti i costi. L’avventura come eccesso, si potrebbe dire.
Dall’altro, l’autore dà a volte eccessivamente per scontato il pre-testo manicheo/supereroistico, come accennato sopra, e le azioni dei personaggi sembrano più motivati da riferimenti culturali esterni alla storia che da motivi intrinseci alla narrazione. In questo secondo caso, il problema potrebbe essere, e in alcuni passaggi chiave lo è stato, una forma di contaminazione culturale non perfettamente rielaborata, un processo non ancora portato pienamente a termine. Con possibili importanti conseguenze sulle aspettative e le necessità dei lettori.
Intrattenimento attualizzato
Per le considerazioni in merito ai pregi e ai limiti sopra esposte, Orfani si è mossa sul filo del rasoio, tra il tentativo di intercettare un nuovo possibile pubblico e di perdere i lettori tradizionali della casa editrice milanese.
Non è il caso, e non sopporto di sviluppare lunghi ragionamenti sul concetto di target della serie. I lettori non sono bersagli. Sono persone più o meno consapevoli che scelgono attraverso processi complessi ma rapidi cosa leggere o cosa no. Il tempo libero, gli infiniti stimoli, i condizionamenti, le possibilità del momento (anche economiche), l’idea implicita di intrattenimento che ricercano, le emozioni che vogliono siano stimolate, gli apprendimenti … Una dimensione complessa, che richiede approfondimenti a parte, una fenomenologia del lettore che prima o poi troverò il tempo di abbozzare.
Sappiamo quanto è complesso per il fumetto, al giorno d’oggi, raggiungere un nuovo pubblico. Roberto Recchioni ha fatto un ottimo lavoro di comunicazione e marketing, del tutto inedito per il fumetto seriale italiano. Ha mantenuto tutte le promesse comunicate in quella fase, non barando su contenuti, idee e obiettivi. Ha offerto un prodotto di buona qualità, con punte di eccellenza e limiti facilmente smascherabili.
Ma il punto credo stia proprio nella domanda a inizio articolo: qual è la funzione del fumetto (seriale) nell’ambito dei prodotti di intrattenimento? La diversificazione delle proposte, favorite dall’enorme sviluppo tecnologico, lascia ancora spazio alla semplicità, si potrebbe dire all’arte povera del fumetto seriale?
Le risposte date dalle vendite di Orfani non appaiono del tutto confortanti. Il pubblico non ha risposto secondo le aspettative, e questo è un dato di fatto. I costi produttivi più alti rispetto alle altre serie Bonelli riducono il margine e quindi il limite in basso di vendite sostenibili. Ma è alle porte una seconda stagione. Il punto di equilibrio, per questo anno, è stato probabilmente trovato.
E personalmente ritengo che la società Sergio Bonelli Editore, alla luce degli enormi introiti che ancora genera con testate storiche, debba considerare sempre più profondamente la necessità di inserire all’interno della sua missione quella di sperimentare con coraggio ponderato nuove strade, nuove proposte, che sappiano muoversi come Orfani sul filo del rasoio, a patto che abbia, appunto come Orfani, un progetto editoriale e un concept di base solido e ben elaborato.
Su queste riflessioni, sarà importante tornare dopo l’avvio della seconda stagione, che dovrebbe portare non poche novità rispetto a quanto visto nel primo anno.