Ieri, come annunciato sul blog, ho partecipato a una manifestazione a Orgnano di Basiliano contro un progetto di lottizzazione per case di lusso, che distruggerà una zona verde a ridosso di un boschetto situato su una piccola altura. Come sapete, la mia opinione è che persino i luoghi da salvare, nel Nord Italia, siano ormai piuttosto brutti – ma non ancora brutti quanto l’uso che ne si vuole fare. Questo posto qui, invece, è effettivamente idilliaco.
Alla manifestazione sono arrivata in corriera, coerentemente con il mio sciopero dell’automobile e le mie idee, e non sono riuscita a convincere nessuno degli altri ambientalisti partecipanti a venire con me. Sulla corriera c’erano altre tre persone e l’autista. E basta. All’evento volevo fare un discorso su come l’automobile è una grande divoratrice di suolo, e per coerenza tutti sarebbero dovuti venire con altri mezzi, ma si sono succeduti talmente tanti interventi che non ho voluto mettermici anch’io. E poi nessuno ascolta volentieri quello che si mette a parlare quando inizia a piovere, o quando iniziano a venire fuori vino e salame. Anche al ritorno ho insistito per prendere la corriera. Credo sia stato parecchio strano vedermi rifiutare le ripetute offerte di passaggio fino a Udine, fatte da più persone gentili. Temevo di apparire scortese, ma aspettare la corriera (in super ritardo) su quella rotonda brutta, rumorosa e inquinata mi ha fatto riflettere ulteriormente su come non si può dividere il mondo in ‘passaggi’ e ‘destinazioni’, ma ogni luogo deve avere la sua dignità.
L’automobile non ci permette, anche se siamo solo passeggeri, di conoscere veramente l’ambiente che attraversiamo. Fare un pezzo a piedi per arrivare alla manifestazione, invece, mi ha dato informazioni interessanti. Sono scesa su una rotonda orrenda lungo una strada trafficata. Ho attraversato il piccolo paese di Orgnano, tipicamente friulano nel senso che aveva: una cintura esterna di villette all’americana una diversa dall’altra, basse, circondate da un giardinetto poco utile (con relativi cani isterici), nel complesso brutte ma ‘nuove’. C’era anche qualche nuova lottizzazione di quelle che fanno adesso, più compatte tra loro ma costruite in un posto a caso, dove l’impresa ha comprato il terreno e non dove avrebbe avuto senso edificare. Infatti le strade vengono fatte ad hoc e l’impressione generale è di disordine e disorientamento.
Il centro del paese, invece, era molto carino, essendo anche stato ristrutturato di recente con cospicui fondi europei. Le case in corte,tipicamente friulane anche loro coi loro cortili e grandi portoni, e anche gli altri edifici vecchi, uno più bello dell’altro, erano in buona parte vuoti o addirittura diroccati. Anche questo è tipico, come i cartelli ‘vendesi’ pendenti da tempo immemore. La piazzetta, quella ristrutturata, era bella ma usata come parcheggio (per i manifestanti). La zona della futura lottizzazione si trovava dalla parte opposta rispetto a quella da cui arrivavo io, oltre l’ultima fila di case. Alle nostre spalle si snodava una strada in trincea, immersa nel verde e ombreggiata dagli alberi, che probabilmente verrà allargata e deturpata. Alcuni degli interventi si sono soffermati su questa stradina, spiegando perché fosse così bassa o raccontando i ricordi ad essa collegati, rimpiangendola già.
La prevista lottizzazione prevede la costruzione di alloggi di lusso (maledetti) su un piccolo promontorio ora coperto di erba, soffioni, fiori e piante spontanee commestibili come gli urticions o lo sclopit. In fondo ho trovato anche qualche fragolina già fiorita, un ciliegio con le sue piccole bacche ancora verdi, e tanti alberi alti di cui alcuni autoctoni altri no. Il boschetto rimarrà nonostante la lottizzazione, ma la bellezza non può prescindere dalla sua cornice, e la cornice verrà distrutta. Era tutto verde lì attorno, a parte qualche piccolo ma deturpante pilone dell’elettricità: mi faceva pensare un po’ alla campagna inglese, così rigogliosa, brillante nel suo verde totale e riposante.
C’è anche una questione archeologica riguardo a questo posto, ma non l’ho capita bene e non ve la so spiegare. Un consigliere eletto a Basiliano in una lista che aveva promesso di battersi contro la lottizzazione si è visto togliere la delega ed estromettere dalla maggioranza per via della sua opposizione, come ha raccontato alla settantina di presenti; due assessori, però, di Cormons e di Rivignano, hanno raccontato degli sforzi fatti dai loro comuni per arrivare a consumo di suolo zero.
Un’altra questione interessante è emersa ieri, oltre a quella della bellezza. Ho scoperto che la cementificazione del suolo è di fatto irreversibile. Ho cercato di capire perché e messo insieme spiegazioni parziali: la parte fertile, formatasi nei millenni, viene asportata; inoltre un suolo coperto è un suolo morto, perché piante, micro organismi e insetti non sono in grado di rinnovarlo e mantenerlo fertile. Gli animali lo attraversano a loro rischio e pericolo e non vi trovano riparo o nutrimento. Inoltre, un suolo impermeabilizzato è rovente d’estate, non assorbe CO2 e neanche acqua: la lascia scorrere, con le conseguenze che sappiamo, anche mortali. A Orgnano ci hanno detto che la nuova lottizzazione avrebbe distrutto un’area fertilissima e io ci credevo. Ci avevano spiegato perché, e poi bastava guardarla e vedere come crescevano bene le piante. Non sono un agronomo ma ho sangue contadino nelle vene, per quanto umiliato da due generazioni di aspirazioni borghesi*, e sto cercando di farlo scorrere in tutti i modi che posso. Cerco di imparare quello che non so con l’osservazione, la lettura e i piccoli esperimenti.
L’edilizia è un settore trainante e le proteste per la crisi si fanno sentire. Guai a mettersi contro il settore edile: muove interessi spaventosi e anche quando non lo fa utilizza il solito ricatto dei suicidi e dei posti di lavoro. Recentemente le associazioni di categoria hanno riempito piazza Unità d’Italia a Trieste con caschetti rossi e gialli a significare ciascuno un posto di lavoro perso o a rischio. Io ho pensato tutte le seguenti cose: il lavoro nell’edilizia è pericoloso, rumoroso e faticoso – con tutto il rispetto possibile penso che devono esserci lavori migliori; il settore impiega molti stranieri e anche qui, sempre con tutto il rispetto, non ha senso lamentarsi della perdita di posti di lavoro creati artificialmente costruendo più del necessario e ‘importando’ manodopera; ben vengano le ristrutturazioni, e lì da fare ce n’è, ma basta coprire il suolo, abbattere alberi, devastare le montagne con le cave e inquinare l’aria pur di costruire ciò che non serve. Se si perdono posti di lavoro, si suddividano quelli che ci sono e gli altri tornino a coltivare la terra. È più sano e soprattutto ci serve.
In Italia la perdita di suolo agricolo è un problema tale che siamo diventati non autosufficienti dal punto di vista alimentare. Guardate che questa è una cosa seria. Nemmeno dell’olio d’oliva riusciamo ad produrre quanto ne consumiamo. Ne avevo già parlato tempo fa, ora vi do un altro link, sempre del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, su questo argomento. È davvero molto interessante e allarmante. Una persona mi ha detto che non ci credeva perché conosce uno che lavora al Ministero e dice che truccano i dati. Sarà. Qui vedo comunque che utilizzano dati elaborati in un centro di ricerca di Vienna, il SERI. Vi invito in ogni caso, per sicurezza, a fare un esperimento. Guardate gli ingredienti di tutti i prodotti che comprate. Ogni volta che vedete olii di palma e di cocco, saprete che qua non si possono produrre. Saprete che praticamente in Italia non si producono fibre tessili naturali, come il cotone, la seta, il lino e persino la lana, e per quanto riguarda le fibre sintetiche, ne facciamo, ma credo che importiamo le materie prime e molta dell’energia. Questo è un argomento che devo approfondire, forse qualche fibra di origine vegetale la produciamo, aiutatemi se ne sapete di più.
Guardate le etichette dei biscotti, dei saponi, degli olii per friggere e delle merendine e sappiate che il foraggio per gli animali che fanno carne e latte è in buona parte importato e che se, come me, comprate le marmellate biologiche Rigoni di Asiago chiedendovi come fanno a produrne così tante nel solo altipiano, la risposta è che hanno piantagioni in Bulgaria. Credo sia un paese fertile e sicuramente là il lavoro costa meno, inoltre in Bulgaria hanno una densità di abitanti minore della nostra e una popolazione in calo. Sarò fissata ma guardo sempre anche questi dati. Io ho davvero paura che potremmo restare senza mangiare (-> guerre). E ci starebbe pure bene, in un certo senso, per quanto siamo superficiali e imprudenti nella gestione delle risorse.
Se non credete a me, sempre dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, link di cui sopra: “Finora la globalizzazione ha mitigato, nei Paesi di prima industrializzazione, il problema della sicurezza alimentare consentendo, attraverso il mercato, un agile approvvigionamento dei beni di consumo non disponibili all’interno dei confini nazionali. Il sistema, tuttavia, si regge sull’assunto che qualcuno su scala globale sia in grado di produrre indefinitamente surplus agricolo da immettere sul mercato: un assunto fragile messo in crisi dall’incremento demografico, dalla crescita del potere d’acquisto dei Paesi emergenti e dell’avanzare della cementificazione.” Se andiamo avanti così, o mangiamo noi o mangiano loro, e la mia idea è che ognuno deve mangiare della propria terra e tenersi da conto quella, non andare a prendere chissà dove da gente che magari produce cibo per gli altri e poi non ne ha per sé.
Vi invito seriamente a fare questo esperimento delle etichette, se non credete al Ministero o a me. Io presto sempre più attenzione alla provenienza di tutto e credo assolutamente a quello che ci dicono: non siamo autosufficienti. Quanto potremo andare avanti prima di un collasso? Ed è giusto andare avanti così?
* Scusate le derive maoiste, ogni tanto mi sento in colpa per le cose che dico. Ieri parlavo con un’amica che mi raccontava della sua bellissima casa in mezzo alla natura sul Natisone, e io le ho risposto, pentendomene subito, che è per colpa delle persone che vivono fuori nella natura e poi vengono in città con l’auto che Udine ormai è invivibile. È una cosa cattiva da dire ma è vero! Io sono assediata dal traffico e dal cemento, la mia aria è avvelenata, non ce la faccio più, e parte del problema è che Udine, per quanto piccola, è la capitale del Friuli e attira da questo Friuli nella sua interezza tantissimo traffico automobilistico che richiede strade e parcheggi, inquina e fa rumore. Il problema si potrebbe alleviare migliorando il trasporto pubblico, sicuramente, ma c’è anche il problema della tensione tra bisogno di natura e bisogno di servizi, che quasi sempre porta le persone a scegliere il massimo vantaggio personale a discapito di quello collettivo e a tenere il piede in due scarpe, quella delle comodità urbane e quella del contatto con la natura, con tutte le conseguenze dannose che vediamo (seconde case, pendolarismo coi suoi ingorghi, espansione a dismisura delle periferie su modello sogno americano, montagne che si trasformano in parcheggi per ‘amanti della natura’…). Ma questo è un altro discorso da fare. C’è sempre un altro discorso da fare…