Origini del sartù di riso napoletano

Da Vesuviolive

Il sartù è uno dei piatti napoletani più elaborati e gustosi a base di riso. Scopriamo insieme le sue origini.

Il riso fu importato a Napoli per la prima volta alla fine del XIV, dalla Spagna, nelle stive delle navi degli Aragonesi.

Purtroppo non ebbe molto successo, tanto da esser definito “sciacquapanza”, ovvero cibo povero, poco gustoso.

Venne utilizzato più che altro come medicamento: i medici salernitani lo prescrivevano in bianco in caso di malattie intestinali o gastriche (in quel periodo c’erano epidemie, queli il colera).

Così dal Sud fu importato al Nord Italia, dove poteva essere coltivato.

Successivamente, nel 700, durante il dominio dei Borbone delle Due Sicilie, ramo della dinastia d’Oltrealpe, nelle cucine di corte e di molte famiglie aristocratiche napoletane, lavoravano  cuochi francesi, nominati Monsù (dal francese Monsieur).

Consapevoli del fatto che i napoletani avessero una vera e propria avversione per il riso, decisero di renderlo più gustoso, aggiungendo sugo di pomodoro, melanzane fritte, piselli e polpettine.

Il nome francese di questo piatto, “sar-tout”, fu ben presto fu riadattato in “sartù”.

Sia i nobili che i poveri napoletani gradirono la nuova “versione” del piatto.

Da allora è diventato uno dei piatti più importanti e ricchi della tradizione culinaria napoletana.

Una piccola curiosità…

Una strofa di un’antica canzone napoletana è interamente dedicata al sartù di riso:

“O’ riso scaldato era na zoza
Fatt’a sartù, è tutta n’ata cosa
Ma quale pizz’e riso, qua timballo!
Stu sartù è nu miracolo, è nu sballo.
Ueuè, t’o giuro ‘ncopp’a a chi vuò tu:
è chiù meglio d’a pasta c’o rraù!”.


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