L’orologio ideale è dunque soltanto un’utile finzione, come dimostrano i calcoli teorici dei ricercatori. In uno studio pubblicato sulla rivista Classical and Quantum Gravity, gli scienziati hanno mostrato che, nei sistemi che subiscono grandi accelerazioni, la costruzione di un orologio in grado di misurare con precisione il passare del tempo è impossibile.
«In entrambe le teorie della relatività, speciale e generale, si dà per scontato che sia sempre possibile costruire un orologio ideale, ovvero un orologio che misura con precisione assoluta il tempo all’interno del sistema di riferimento, indipendentemente dal fatto che il sistema sia o meno a riposo. Abbiamo scoperto, però, che quando si ha a che fare con accelerazioni estremamente grandi, questo postulato non può più ritenersi valido», spiega Andrzej Dragan della Facoltà di Fisica dell’Università di Varsavia
Gli orologi più semplici in assoluto si basano sul decadimento di particelle elementari instabili, ad esempio muoni, particelle con proprietà simili agli elettroni, ma 200 volte più massicce. Di solito i muoni decadono formando un elettrone, un neutrino muonico, e un antineutrino elettronico. Misurando i tempi di decadimento e facendo la media dei risultati per muoni che si muovono lentamente e altri che viaggiano quasi alla velocità della luce, si può osservare il famoso effetto del rallentamento del tempo: più i muoni sono veloci, minore è la probabilità di osservarli decadere. La velocità dunque ha un effetto misurabile sullo scorrere del tempo.
Vista aerea della zona dove sorge il CERN e i tracciati degli anelli sotterranei degli acceleratori LHC e SPS con l’indicazione della posizione dei principali esperimenti.
Che succede con l’accelerazione? Alla fine degli anni ‘70 sono stati condotti esperimenti al CERN, con i quali è stato misurato il tempo di decadimento dei muoni accelerati lungo percorsi circolari, spingendosi fino a miliardi di miliardi di volte l’accelerazione gravitazionale terrestre. Queste accelerazioni non hanno sviluppato variazioni misurabili sui tempi di decadimento.
Il gruppo di ricercatori delle Università di Varsavia e Nottingham hanno invece studiato il comportamento delle particelle instabili accelerate lungo percorsi lineari. Il punto chiave della loro analisi è stata l’introduzione di un effetto molto peculiare, previsto nel 1976 dal fisico canadese William Unruh
«Contrariamente a quanto suggerisce l’intuito, una particella non è completamente indipendente dall’osservatore. Conosciamo tutti, ad esempio, l’effetto Doppler che provoca lo spostamento verso il blu di un fotone emesso da una sorgente che si muove in direzione dell’osservatore, e lo spostamento verso il rosso per un fotone che si sta allontanando. L’effetto Unruh è in qualche modo simile, se non fosse che le conseguenze sono molto più spettacolari: in una determinata porzione di spazio, un osservatore privo di accelerazione vede un campo quantistico vuoto, mentre un osservatore in accelerazione vede molte particelle», dice il dottor Dragan
L’equazione che descrive l’effetto Unruh afferma che il numero di particelle visibili all’interno di un campo quantistico varia a seconda dell’accelerazione sperimentata da un osservatore: maggiore l’accelerazione, maggiore il numero di particelle. Questi effetti non inerziali possono essere dovuti al moto dell’osservatore, ma la loro origine potrebbe anche risiedere nella presenza di un campo gravitazionale. È interessante notare che l’effetto Unruh è molto simile alla famosa radiazione di Hawking emessa dai buchi neri.
Le particelle instabili che sono state studiate dai fisici delle Università di Varsavia e Nottingham decadono in seguito ad interazioni con altri campi quantistici. La teoria dice che se tali particelle si trovano all’interno di uno spazio vuoto decadono ad un ritmo diverso rispetto a quando sono circondate da altre particelle. Pertanto, dal momento che in un sistema accelerato si vedono più particelle a causa dell’effetto Unruh, i tempi medi di decadimento delle particelle dovrebbero cambiare.
«I nostri calcoli hanno dimostrato che, superati certi valori di accelerazione, dovrebbero esserci variazioni nei tempi di decadimento delle particelle elementari. Se queste variazioni riguardano anche i muoni, qualsiasi dispositivo costruito sui principi della teoria quantistica dei campi dovrà subire delle correzioni. Pertanto non è più possibile misurare con precisione assoluta il tempo proprio. Questo ha ulteriori conseguenze, poiché l’impossibilità di misurare con precisione lo scorrere del tempo comporta correzioni anche sulle misure di distanza», spiega il dottor Dragan.
Fino ad ora si supponeva che i concetti di tempo e spazio potessero perdere il senso tradizionale solo quando una serie di fenomeni legati alla gravità iniziavano a giocare un ruolo fondamentale. Si ritiene, ad esempio, che tali condizioni si siano verificate in prossimità del Big Bang.
«Nel nostro articolo mostriamo che affinché si presentino problemi con le misure di spazio e tempo non sono affatto necessarie condizioni così estreme. Il tempo, e di conseguenza lo spazio, molto probabilmente cessano di essere misurabili con accuratezza anche nell’Universo attuale, se si effettuano misurazioni in sistemi che sperimentano grandi accelerazioni», osserva il dottor Dragan
I risultati presentati dagli scienziati comportano che, ad accelerazioni sufficientemente elevate, le capacità operative di qualsiasi teoria costruita sulla nozione del tempo e dello spazio, vengono a mancare. Questo suscita domande interessanti. Se in un sistema in accelerazione estrema non possiamo costruire un orologio che misura il tempo con precisione, si tratta di un difetto fondamentale dei nostri metodi di misurazione? O forse ha a che fare con qualcosa che sta accadendo direttamente al tempo? Inoltre, le proprietà che non possono essere misurate con accuratezza hanno un senso fisico?
Gli acceleratori moderni possono portare le particelle ad accelerazioni diversi ordini di grandezza superiori rispetto a quelle ottenute negli esperimenti degli anni ’70. Al giorno d’oggi possiamo condurre esperimenti in cui l’effetto Unruh dovrebbe essere visibile, e con esso le variazioni del tempo di decadimento delle particelle. Le implicazioni dei risultati teorici presentati nell’articolo potranno quindi essere verificate in tempi rapidi.
«Se le nostre previsioni saranno confermate sperimentalmente, dovremo ripensare da zero molti degli aspetti legati alla nostra comprensione dello spazio-tempo, come il trascorrere del tempo, e i suoi metodi di misurazione. Potrebbe essere… interessante», conclude il dottor Dragan con un sorriso.
Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli