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Oronzo, Giusto, Fortunato: la tradizione, la storia e la fede

Creato il 14 novembre 2011 da Cultura Salentina
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A. Bello: Oronzo, Giusto, Fortunato: la tradizione, la storia e la fede, Botrugno 2011

Il culto di Sant’Oronzo rappresenta una devozione che si radica in quella religione oggi definibile come di tipo popolare. Con questo termine gli antropologi indicano le manifestazioni legate ai temi della cultura cristiana, com’è appunto la devozione ad un Santo, rielaborata e adattata in chiave di cultura popolare e non perfettamente assimilabile ai canoni della religione ufficiale. [...] Sant’Oronzo è un culto tipicamente meridionale ma è nel Salento, per la tradizione agiografica del Santo, che bisogna ricercare l’origine per comprendere appieno il significato di tale devozione e il valore che essa esprime nella nostra società. Così come afferma il Pettazzoni, «tutti possono dare opera a raccogliere documenti, registrare notizie, mettere insieme collezioni, ordinare musei. Più difficile è penetrare il senso di un’antica usanza, di una leggenda, di una superstizione, rintracciarne la provenienza, ricostruire lo svolgimento» (cfr. “Atti del I° Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, Firenze 1930). In questo senso, allora, lo studio agiografico su Sant’Oronzodeve mirare a ricostruire, partendo dai relitti storico-folklorici, e per una specifica realtà geografica, la “storia interna” di questo credo generatasi in quella gente del Salento. Solo allora saremo in grado di spiegare la persistenza del culto, la devozione e l’origine scoprendo, probabilmente, anche un legame cultuale che affonda veramente le sue radici ai primi secoli della cristianizzazione del Salento così come suppone la vita del Santo.

L’autore trova l’ispirazione per questo suo scritto da una personale ricerca sulla vita di Sant’Oronzo stimolata, a sua volta, dal casuale ritrovamento di un libretto botrugnese, d’ignota data, contenente alcune orazioni al Santo. L’attrazione è forte e l’ascendente che il culto ha sugli abitanti di Botrugno, dove anch’egli è cittadino, lo porta a interrogarsi e ad approfondire sino a maturare la decisione di scrivere questo breve saggio [...]

Indagare sulle origini dei culti è un lavoro faticoso e irto d’insidie sia per la difficoltà nel reperire la documentazione storica e sia per l’epurazione delle fonti spesso contaminate da diversi elementi fantastici. Ulteriore problematicità, nello scavo dei retaggi cultuali, è quella di non incappare in autocensure ideologiche, siano esse di carattere religioso o della tradizione alla quale lo studioso si sente di appartenere, poiché solo col distacco da queste è possibile razionalmente riflettere, desumere e dimostrare. […]. L’intuizione, l’ipotesi e le possibili connessioni tra individui, eventi e contesto storico sono […] utili a percorrere dei filoni di ricerca ancora inesplorati e, ciò, al fine di procurarsi prove storicamente insindacabili che potranno provare o rigettare le tesi supposte. In questo senso Andrea Bello si muove con grande agilità perché, così come sottolinea nella sua introduzione, è conscio che il metodo corretto per ricostruire una storia, senza falsarla, è quella che si poggia sulle testimonianze concrete e non su quel che “si dice”.

La scelta dell’autore è, difatti, quella di trovare corrispondenza storica ai racconti popolari circa la vita di Sant’Oronzo cercando costantemente di comparare la possibilità del sussistere di una presenza di personaggi, o il verificarsi di taluni eventi, nel contesto storico del “si dice”. Questo sforzo di compenetrare il momento storico delle vicende, porta il Bello ad attingere dagli autori antichi che, come noto, non si dimostrano sempre affidabili […ad es.] fonti come l’“Apologia Paradossica” (1558) del De Ferrariis o alla “Lecce Sacra” (1634) dell’Infantino. Il Bello supera l’ostacolo delle fonti a stampa del XVI-XVII sec. cercando di appurare le notizie col ricorso agli scritti successivi ma, anche in questo caso, nota il prolificare di scritti poco attendibili sul “culto orontiano” e ciò, proprio a partire dalla seconda metà del ‘600. Si tratta spesso di fonti ecclesiastiche e in particolar modo di notizie tramandateci dall’allora vescovo di Lecce mons. Pappacoda (1639-1670) scritte dalla prima metà del secolo sino agli anni ’70. Il fine di tali scritti si dimostra, infatti, fazioso sia perché mirati a promuovere e rinsaldare il culto del Santo in Lecce che, a quanto scrive l’autore riprendendo una riedizione ottocentesca dell’opera del Buozzi “I primi martiri di Lecce Oronzo, Giusto e Fortunato” (1672), è ormai caduto in disuso e quasi dimenticato e sia per ottenere il riconoscimento della santità del martire leccese da parte della Sacra Congregazione dei Riti in ottemperanza alle disposizioni contenute nella costituzione “Sanctissimus” (1625) di Urbano VIII.

In questi casi la ricerca delle fonti si sarebbe dovuta dirigere verso la consultazione degli scritti originali ma, tolto qualche riferimento bibliografico di noti autori salentini del XVI sec., tutti fanno hanno per oggetto donazioni, lasciti e dubbie croniche dell’XI-XII sec. ove, in generale, s’identifica a Lecce un luogo dedicato al Santo o semplicemente un toponimo da esso derivato e mai notizie utili alla ricostruzione della devozione. L’unico autore che parla di documenti antichi è il De Ferrariis il quale dichiara di aver letto gli Acta del Martirio di Sant’Oronzo scritti in caratteri longobardi e risalenti all’VII-VIII sec. Per questi ultimi non abbiamo nessun riferimento bibliografico o il rimando ad archivi consultati e pertanto tale notizia rimane difficile, per non dire impossibile, da verificare. Da questo punto Andrea Bello, dopo aver cronologicamente ordinato tutte le fonti riguardanti la vita e il culto di sant’Oronzo, sospetta che il “si dice” possa nascondere elementi di verità storica.  Nulla di nuovo in tal senso, ma è chiaro che la scelta iniziale di evitare il “si racconta” diventa invece il mezzo per la ricerca della verità e in questa gioca un ruolo fondamentale la comprensione del folklore popolare. L’autore propone, quindi, i racconti dei miracoli compiuti dal Santo, ne descrive l’iconografia che esalta la sua qualità di distruttore del mito pagano e, in chiave antropologica, chiarisce la sua peculiarità di protettore delle città contro gli eventi nefasti provocati dalla natura e dall’uomo.

Il culto popolare di un Santo e le pratiche religiose di una comunità, spesso nel Salento intrise da elementi cultuali pagani, rappresentano la microstoria della stessa gente e pertanto lo studioso, inconsciamente, non mira a chiarire la verità agiografica o la rigorosità dottrinaria bensì ricostruisce un passato al quale si sente di appartenere al fine anche di comprendere ciò che in modo latente ancor si manifesta. Lo scopo di Andrea Bello è stato proprio di dimostrare che, pur organizzando storicamente gli elementi che riconducono al culto di Sant’Oronzo, nessuno sarà in grado di dimostrarne, allo stato attuale delle fonti documentarie, l’esistenza ma ognuno sarà capace di riconoscere nel culto le origini della propria religiosità e riscoprire il senso di appartenenza ad una società dalle radici profonde.

Da un punto di vista storico, la narrazione della vita di Sant’Oronzo mostra moltissime contaminazioni che hanno portato all’occultamento, quasi totale oserei dire, di quella che è, se esistita, la sua vera agiografia. Difatti, il registro agiografico non è dissimile da quello dei tanti Santi giunti dall’Oriente dove sono evidenti i temi del martirio a difesa della fede cristiana, dell’eremitismo, dell’evangelizzazione, dei miracoli e della conversione. […] Gli eventi [legati alla vita del Santo] mescolati a quell’innata fantasia del mondo greco, che tanto influì nelle nostre contrade, trovarono con campo fertile alla nascita di tanti racconti fantastici. Numerosi […] esempi potrebbero dimostrare le contaminazioni dell’agiografia di Sant’Oronzo ma è proprio questa variegata complessità che dimostra come la religione sia stata per molti secoli il tema regolatore dei comportamenti sociali e come nel Salento, anche attraverso il culto, l’interazione di tante culture abbia dato vita a un mondo complesso, unico e tanto particolare da essere inimitabile. E’ inevitabile, dunque, che l’indagine storica a volte apra il vaso di Pandora ma ciò non deve influire sulla spiritualità dell’uomo e tantomeno indurlo a non praticare una certa devozione poiché nella sua terra essa rappresenta, pur sempre, il germe originario di quella radice cristiana alla quale è legato.

La conclusione del lungo percorso narrativo affrontato dal Bello abbraccia, quindi, non solo l’aspetto cultuale legato alla figura di Sant’Oronzo, ma coinvolge anche la cultura, l’antropologia, l’arte e la storia in genere senza giungere ad una vera e propria soluzione ma, intelligentemente, lasciando contemporaneamente aperto ogni possibile approfondimento futuro. In un certo senso, l’autore funge da apripista informando il novello studioso delle insidie, delle incongruenze e delle difficoltà che il percorso di ricerca sul tema del Santo può avere. Tuttavia, la conclusione del libro è ambivalente perché mentre da una parte fa da apripista agli studi, come prima detto, finalizzati ad appurare l’esistenza o meno di questa figura storica dall’altra rincuora ,col ricorso alla fede, “credere senza vedere”, tutti coloro che, probabilmente delusi dalla schiettezza del rigore scientifico, nel Santo hanno sempre creduto. In tali chiavi di lettura, la narrazione del Bello può veramente definirsi uno scavo nella poliedrica cultura salentina utile a rinsaldare nel Salento il sodalizio tra uomo, fede e raziocinio.

(Tratto dalla Prefazione a cura di Vincenzo D’Aurelio)

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