Impagabili, i media italiani. Dopo mesi di mobilitazione della popolazione, ora hanno “scoperto” che esiste un problema micidiale di sopravvivenza nella terra dei fuochi, quella landa avvelenata tra Napoli e Caserta dove la camorra ha per decenni “smaltito” rifiuti tossici di ogni genere. E lo fa soltanto quando la magistratura, con opportune “segnalazioni alla stampa”, ha ritenuto di dover desecretare – ovvero render pubblici – i verbali del pentito Carmine Schiavone. Il quale va dicendo da anni le stesse cose in diverse interviste che non avevano ricevuto altrettanta attenzione.
Solo oggi, insomma, si può parlare della condanna a morte di massa pronunciata dal clan dei casalesi nei confronti della propria stessa “cittadinanza” e della incapacità dello Stato di far fronte alle conseguenze. Ovvero di farsi carico della protezione della salute in un’area certo vasta, ma non immensa.
Anzi i giornali mainstream si preoccupano ora soprattutto di “assolvere” gli organi dello Stato in base al fatto che nei verbali desecretati non risulta alcuna complicità particolare di parti della politica o degli organi pubblici nel “cogestire” l’affare insieme alla camorra. Si vede che anche loro se l’aspettavano…
Ma la storia della terra dei veleni e ora anche “dei fuochi” insegna davvero molte cose. La camorra, come ogni mafia, è in fondo un’”impresa” allo stadio dell’”accumulazione originaria” capitalistica, tipica insomma della fase di rapina esplicita per disporre poi del capitale necessario a fare “impresa perbene”. Camorra e mefia, dunque, ragionano allo stesso modo del capitalista normale, ma operano in un campo extralegale, fuori dal recinto del business ammesso.
L’”affare” dello smaltimento rifiuti del resto dimostra che “impresa normale” (tutte quelle industrie tedesche o del nord Italia che affidavano ai casalesi la loro “merce” sapevano con chia avevano a che fare, perché il prezzo pattuito era “fuori mercato” e di certo la fatturazione non poteva essere “regolare”) e impresa malavitosa convivono tranquillamente e con reciproco profitto.
Dimostra anche che la logica dell’impresa, lungi dall’assumersi qualsiasi “responsabilità sociale” opera scientemente contro la società, contro le popolazioni. I Riva, con l’Ilva, non hanno proceduto in modo molto diverso dagli Schiavone. Hanno corrotto funzionari pubblici e amministratori locali (c’è un rinvio a giudizio deciso proprio in questi giorni), e lo hanno fatto per coprire o negare i danni irreparabili che provocavano all’ambiente prima, alle persone di conseguenza.
C’è infatti consapevolezza della mostruosità che si va realizzando persino in un “incolto” camorrista come Carmine Schiavone, cui viene attribuita la frase agghiacciante “qui tra vent’anni saranno tutti morti”. Non sappiamo se anche i Riva se l’erano detto, ma è assolutamente impossibile che questi ben istruiti esemplari del capitale nazionale non sapessero cosa comportava evitare per decenni qualsiasi investimento mirato a ridurre i fattori inquinanti della produzione.
Ma la vicenda dimostra anche come questo “Stato”, ridotto ad accompagnatore servizievole della “libera impresa”, sia incapace di assolvere altra funzione che non sia quella dell’uso della polizia contro i movimenti d’opposizione. E’ rimasto a guardare l’imponente flusso di rifiuti tossici da mezza Europa alla “terra dei veleni” – possibile che la stradale non avesse mai fermato un camion sospetto, mai segnalato le modalità con cui avveniva il traffico, nessun magistrato ne aveva sentito l’odore, ecc? – per poi, a “rivelazioni” avvenute, oltre 16 anni fa, certificare che “non ci sono soldi per bonificare”. Complice di genocidio (o “biocidio”, come si è preso a dire per questa vicenda specifica), miserabile finanche nelle argomentazioni.
Da ultimo. Questa vicenda dimostra che in una società complessa qualsiasi “autoregolazione locale” – e la mafie sono anche questo, in determinati territori – è alle prese con problemi che travalicano di gran lunga le capacità di conoscenza, previsione, gestione espresse localmente. Vale oggi per una vicenda infame come questa, ma è un criterio generale – “scientifico” – che non deve sfuggire a quanti, questo modo, voglio rovesciarlo per rimetterlo in piedi.
link articolo: http://www.contropiano.org/ambiente/item/20048-la-logica-della-libera-impresa-nella-terra-dei-veleni