Mentre assistevo alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra 2012 ho intravisto tra la folla di partecipanti un atleta che per il solo esser lì ha già vinto ancor prima del via ufficiale alle gare. Al momento dell'ingresso della sua squadra, il Sudafrica, confuso fra le divise tutte uguali della nazionalità di appartenenza era perfettamente indistinguibile. Perfettamente uguale agli altri. In realtà lui è però un atleta molto speciale. Sto parlando ovviamente di
Oscar Pistorius, primo atleta Paralimpico della storia a gareggiare alle Olimpiadi. Per chi non lo conoscesse, questa è in breve la sua storia. Oscar è un ragazzo Sudafricano nato con una grave malformazione ai piedi che costrinse i medici ad effettuare un'amputazione ad entrambe le gambe. Nonostante ciò impara a camminare come tutti gli altri bambini ma su due protesi costruite su misura per lui. Adolescente ama lo sport e malgrado la sua grave disabilità, non si da mai per vinto. Gioca prima a rugby poi, a causa di un infortunio, passa all'atletica leggera. In questa disciplina si consacra campione vince medaglie su medaglie nei 100, 200 e 400 metri. Acquista notorietà grazie ai suoi risultati, alle sue protesi in fibra di carbonio e al suo sogno di correre fianco a fianco agli atleti normodotati. Inizialmente non trova pareri favorevoli, ma tanti ostacoli. Molti pensano che le sue protesi possano avvantaggiarlo. Per questo motivo a gennaio del 2008 la Federazione di atletica leggera respinge la sua richiesta. Nel maggio dello stesso anno è il Tribunale sportivo a riabilitarlo per le Olimpiadi di Pechino. Ma Oscar non riesce a realizzare il tempo minimo per la partecipazione ai giochi. Sarà presente, e vincerà medaglie, alle Paralimpiadi. Non si arrende. Si allena nei quattro anni successivi per riuscire a qualificarsi alle Olimpiadi di Londra. Il via libera arriva, dopo tanti allenamenti e sacrifici, solo nel luglio scorso proprio a poche settimane dall'inizio della manifestazione. Il suo sogno è realizzato e proprio in questi giorni lo vedremo in pista fianco a fianco con chi nella vita è stato più fortunato di lui. Forse non porterà a casa medaglie, ma il messaggio che trasmette mentre corre in pista ha di sicuro molto più valore di qualche grammo d'oro.
Stimo molto questo ragazzo. Tiferò per lui durante le Olimpiadi. Penso che abbia molto da insegnare a tutti noi, anche in merito al "mondo
dislessia". Trovo, infatti, nella sua storia alcune affinità con quelle che sono le storie di molti dislessici. Come è possibile vi chiederete. Ci sono grandi differenze, ovvio, soprattutto in quella che è la diversa gravità dei casi (vedersi amputate le gambe appena nati è decisamente molto più invalidante di avere un disturbo specifico di apprendimento). Ma pensiamo per un momento alla querelle nata attorno alle sue protesi. La stesso, a volte, anche con i bambini e ragazzi dislessici. Se le protesi in carbonio permettono all’atleta sudafricano di camminare e correre come gli altri, i ragazzi con DSA possono utilizzare l’informatica per leggere, scrivere e far di conto negli stessi tempi e alle stesse condizioni dei propri compagni. Ebbene diversi insegnanti, e spesso anche gli stessi compagni di classe, considerano gli strumenti compensativi e i metodi dispensativi (un diritto per legge) un vantaggio che discrimina chi non ha un disturbo specifico di apprendimento. Sembra incredibile, ma affatto irreale. Capita allora che quando questi “vantaggi” vengono garantiti i voti, poi, non sono quasi mai quelli meritati. Se ad esempio un dislessico in un compito merita un 8 alcuni insegnanti sono portati ad assegnare solo un 7 o un 6 proprio per non fare uno sgarbo agli altri alunni. Non si capisce, però, perché non facciano lo stesso ragionamento con chi, ad esempio, utilizza gli occhiali per leggere, occhiali che al pari del PC per il dislessico e delle gambe artificiali per Pistorius sono anch’essi vere e proprie protesi. Come seconda cosa c’è da dire che alcuni dislessici pur di non sentirsi, ed essere ritenuti, diversi rifiutano ogni tipo di aiuto, come se avere un pc sul banco li classificherebbe come inferiori. In realtà mantenendo questo atteggiamento non fanno altro che rendere più evidente la loro diversità: non saranno mai veloci nella lettura come gli altri, non saranno mai autonomi, saranno forse scambiati come svogliati, stupidi ed asini e non dimostreranno mai appieno le loro capacità. Tornando al caso dell’atleta sudafricano, che sarebbe stato se da piccolo avesse rifiutato di camminare su due gambe artificiali? Che cosa sarebbe accaduto se, più grande, avesse scelto di accontentarsi e continuare a gareggiare con gli altri disabili e mai di mettersi alla prova con i normodotati? Nel primo caso avrebbe di sicuro avuto bisogno di una sedia a rotelle per muoversi e dell’aiuto di qualcuno anche per fare le cose più semplici. Nel secondo caso avrebbe certamente vinto medaglie, alzato trofei ma il suo grande potenziale non sarebbe mai venuto alla luce e avrebbe comunque continuato per tutta la vita ad essere considerato sì un campione ma paralimpico.Da ultimo ciò che mi ha portato a fare queste considerazione su Oscar Pistorius e la dislessia è che durante cerimonia di apertura dei giochi di Londra era difficile, se non conoscendolo bene, distinguerlo dagli altri. Certo la sua disabilità è molto visibile, ha due gambe artificiali. In quel momento, tuttavia, sembrava perfettamente uguale ai suoi colleghi. Tutti si accorgeranno, però, del suo essere speciale una volta entrato in pista, una volta che lo si vedrà correre all’interno di uno stadio festante. Anche la dislessia ha un suo spazio di visibilità preferito. La disabilità invisibile per eccellenza si mostra a tutti al momento in cui si entra tra le mura scolastiche (anche se qualche segnale potrebbe palesarsi anche prima dell’inizio del percorso di apprendimento). Fino ad allora nessuno si accorgerà delle difficoltà del bambino ed egli stesso non si sentirà diverso dai suoi coetanei. I miei, quest’ultimo in particolare, sono forse dei paragoni un po’ estremi, ma possono essere utili per capire e per far capire che qualsiasi bambino o ragazzo con disturbo specifico dell’apprendimento, messo nelle condizioni di cui ha diritto, può gareggiare alla pari degli altri compagni. Sta a lui poi cercare di eccellere o meno. Così come Oscar Pistorius deve allenarsi tanto per provare a vincere, anche il dislessico deve studiare per ottenere buoni o ottimi risultati. Quello che dovrebbe essere vietato pensare è che per via delle sue “protesi” (pc, sintesi vocale ecc.) egli sia un avvantaggiato. E’ proprio grazie a quegli strumenti che il dislessico è messo in grado di poter gareggiare nelle stesse condizioni dei propri compagni e per questo,da quel momento in poi, dovrà essere valutato per ciò che merita.
Ecco quindi che gli alunni con DSA stessi, come noi tutti del resto, dovrebbero considerare questo campione come un esempio da seguire. Da lui potrebbero imparare a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e a lottare contro di esse, potrebbero trovare la motivazione a diventare sempre più autonomi grazie alle tecnologie a disposizione e potrebbero anche trovare il coraggio per far capire a chi li ha sempre ritenuti stupidi che non lo sono affatto e che possono anche essere migliori di loro, cosi come fa Oscar quando in pista supera un avversario che corre sulle sue gambe di carne e ossa.
Non so se Pistorius nelle Olimpiadi di Londra in corso riuscirà a vincere qualche medaglia, forse non riuscirà neanche a qualificarsi alle finali, ma il messaggio che trasmette al mondo intero attraverso la sua partecipazione a questi giochi Olimpici ha un significato che di certo va oltre qualsiasi più prestigiosa vittoria. La speranza è che in molti possano farne tesoro.
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