Oscar Wilde – L’anima dell’Uomo sotto il Socialismo XI

Creato il 06 agosto 2014 da Marvigar4


OSCAR WILDE

L’ANIMA DELL’UOMO SOTTO IL SOCIALISMO

Titolo originale: The Soul of Man under Socialism

Traduzione dall’originale in inglese di Marco Vignolo Gargini

Comunque, lasciamo perdere quello che è davvero un aspetto molto sordido della faccenda e torniamo al problema del controllo popolare in materia di arte, e con ciò mi riferisco all’opinione pubblica che detta all’artista quale forma debba usare, il modo di usarla e il materiale con cui lavorare. Ho puntualizzato che le arti che meglio si sono sottratte a questo controllo in Inghilterra sono quelle in cui il pubblico non ha mostrato interesse. Tuttavia è interessato al teatro e, dal momento che un certo progresso c’è stato a teatro negli ultimi dieci o quindici anni, è importante sottolineare come questo progresso sia interamente dovuto a pochi singoli artisti, i quali si sono rifiutati di accettare la popolare mancanza di gusto e di considerare l’arte semplicemente una questione di domanda e di offerta. Con la sua meravigliosa e vivida personalità, con uno stile che contiene davvero un reale elemento cromatico, con il suo straordinario potere, non solo sul mero piano imitativo, ma sulla creazione immaginativa e intellettuale, Mr. Irving, se avesse avuto come solo scopo quello di dare al pubblico ciò che questo desiderava, avrebbe potuto realizzare le più banali commedie nella maniera più banale, e riscuotere tanto successo e tanto denaro quanto un uomo possa desiderarne. Ma il suo scopo non era questo. Il suo scopo era quello di realizzare la propria perfezione come artista, in certe condizioni e con certe forme di arte. All’inizio lui si rivolse ai pochi: adesso ha educato i molti. Ha creato nel pubblico sia gusto che temperamento. Il pubblico apprezza immensamente il suo successo artistico. Spesso io mi chiedo, comunque, se il pubblico capisca che quel successo è interamente dovuto al fatto che egli non ha accettato gli standard del pubblico, ma ha realizzato i propri. Con gli standard del pubblico il teatro Lyceum sarebbe stata una cabina di seconda classe, come lo sono attualmente alcuni dei teatri popolari di Londra. Che lo capisca o no, rimane comunque il fatto che nel pubblico sono stati creati, in una certa misura, gusto e temperamento, e che il pubblico è capace di sviluppare queste qualità. Il problema allora è: perché il pubblico non diventa più civilizzato? Ne ha la capacità. Cosa lo ferma?

La cosa che lo ferma, occorre ripeterlo, è il desiderio di esercitare la propria autorità sugli artisti e sulle opere d’arte. In certi teatri, come il Lyceum e lo Haymarket, il pubblico sembra andare con lo stato d’animo adatto. In entrambi i teatri ci sono stati singoli artisti che sono riusciti a creare nel pubblico – e ogni teatro di Londra ha il proprio pubblico – il temperamento al quale l’arte fa appello. E qual è questo temperamento? È il temperamento ricettivo. Questo è tutto.

Se un uomo si avvicina ad un’opera d’arte con qualche desiderio di esercitare su di essa e sull’artista un’autorità, egli si avvicina con un tale spirito che non può ricevere alcuna impressione artistica in qualche modo. L’opera d’arte deve dominare lo spettatore: lo spettatore non deve dominare l’opera d’arte. Lo spettatore deve essere ricettivo. Egli deve essere il violino sul quale il maestro suona. E quanto più completamente egli è in grado di sopprimere le proprie sciocche opinioni, i propri stupidi pregiudizi, le proprie assurde idee su ciò che l’arte dovrebbe o non dovrebbe essere, tanto più è probabile che comprenda e apprezzi l’opera d’arte in questione. Questo è, ovviamente, del tutto evidente nel caso del volgare pubblico teatrale degli uomini e delle donne inglesi. Ma è altrettanto vero per coloro che sono dette persone istruite. Perché le idee che una persona istruita ha dell’arte derivano naturalmente da quello che l’arte è stata, mentre la nuova opera d’arte è bella perché è quello che l’arte non è mai stata; e misurarla secondo gli standard del passato significa misurarla con lo standard del rifiuto di ciò da cui la vera perfezione dipende. Un temperamento capace di ricevere, tramite un mezzo immaginativo e in condizioni immaginative, impressioni nuove e belle, è il solo temperamento che può apprezzare un’opera d’arte. E questo, se è vero nel caso dell’apprezzamento della scultura e della pittura, è ancora più vero nel caso dell’apprezzamento delle opere teatrali. Perché un dipinto e una statua non sono in guerra con il tempo. Non tengono conto della sua scansione. La loro unità può essere percepita in un solo momento. Nel caso della letteratura è diverso. Deve passare del tempo prima che sia realizzata l’unità dell’effetto. E così, nell’arte drammatica, può accadere qualcosa nel primo atto della commedia il cui vero valore artistico può non essere evidente per lo spettatore finché non si raggiunge il terzo o il quarto atto. Lo sciocco deve adirarsi e gridare e disturbare la rappresentazione e dare fastidio agli artisti? No. L’uomo onesto deve stare seduto tranquillo e conoscere le deliziose emozioni della meraviglia, della curiosità e dell’incertezza. Non deve andare a teatro per dare sfogo alla propria volgarità. Deve andare a teatro per realizzare un temperamento artistico. Deve andare a teatro per guadagnare un temperamento artistico. Egli non è l’arbitro dell’opera d’arte. È uno che è ammesso a contemplare l’opera d’arte e, se l’opera è bella, a dimenticare nella sua contemplazione tutto l’egotismo che lo guasta – l’egotismo della sua ignoranza, l’egotismo della sua informazione. Questo punto sull’arte drammatica è a malapena, credo, sufficientemente riconosciuto.



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