Oscar Wilde “Penna, matita e veleno – Uno studio in verde” 7

Creato il 07 agosto 2012 da Marvigar4

OSCAR WILDE
PENNA, MATITA E VELENO
UNO STUDIO IN VERDE

Titolo originale: PEN, PENCIL AND POISON – A STUDY IN GREEN
Traduzione di Marco Vignolo Gargini

   Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che quel colto giovane che compose queste frasi, e che fu così suscettibile agli influssi wordsworthiani, fu anche, come ho detto al principio di questa memoire, uno dei più sottili e segreti avvelenatori in questa o in un’altra epoca. Come accadde ch’egli iniziò ad essere sedotto da questo strano peccato non ce lo dice, e il diario in cui lui annotava con cura i risultati dei suoi terribili esperimenti e i metodi che adottò, sfortunatamente per noi, è andato perduto. Pure in seguito egli fu sempre reticente sull’argomento, e preferì parlare de ‘L’Escursione’, e dei ‘Poemi fondati sugli affetti’. Comunque non v’è dubbio che il veleno che utilizzò fu la strichinina. In uno dei begli anelli di cui era così fiero, e che servivano a mettere in risalto la bella forma modellata delle sue delicate mani eburnee, era solito conservare cristalli dell’indiana nux vomica, un veleno, ci riferisce uno dei suoi biografi, ‘pressoché insapore, difficile da scoprire, e in grado di essere diluito quasi all’infinito’. I suoi delitti, afferma De Quincey, furono molti di più di quelli che vennero alla luce in ambito giudiziario. Sicuramente è così, e alcuni di questi delitti meritano una menzione. La sua prima vittima fu suo zio, Mr. Thomas Griffiths. Lo avvelenò nel 1829 per prendere possesso di Linden House, un luogo al quale egli era sempre stato molto attaccato. Nell’agosto del successivo anno avvelenò Mrs. Abercrombie, sua suocera, e nel dicembre seguente avvelenò la deliziosa Helen Abercrombie, sua cognata. Il motivo dell’uccisione di Mrs. Abercrombie non è stato accertato. Può essere stato per un capriccio, o per stimolare qualche orrido senso del potere che giaceva in lui, o perché lei sospettò di qualcosa, o per nessuna ragione. Ma l’omicidio di Helen Abercrombie fu attuato da lui e da sua moglie al fine d’acquisire una somma di circa 18.000 sterline, somma per la quale loro avevano assicurato la vita della ragazza in varie compagnie d’assicurazione. Le circostanze furono le seguenti. Il 12 dicembre, lui, sua moglie e il figlio vennero a Londra da Linden House, e presero alloggio al numero 12 di Conduit Street, Regent Street. Con loro c’erano le due sorelle, Helen e Madeleine Abercrombie. La sera del 14 andarono tutti a teatro, e durante la cena quella sera Helen si sentì male. Il giorno dopo era molto sofferente, e il Dr. Locock, di Hanover Square, fu chiamato per assisterla. Sopravvisse fino a lunedì, il 20, quando, dopo la visita mattutina del dottore, Mr. e Mrs. Wainewright le somministrarono della marmellata avvelenata, e poi uscirono fuori per una passeggiata. Al loro ritorno Helen Abercrombie era deceduta. Aveva circa vent’anni, una ragazza alta e graziosa dai capelli biondi. Un suo incantevole ritratto fatto dal cognato esiste ancora, e rivela come il suo stile d’artista fosse assai influenzato da Sir Thomas Lawrence, un pittore per la cui opera egli aveva sempre nutrito una grande ammirazione. De Quincey racconta che Mrs. Wainewright non fu del tutto estranea all’omicidio. Speriamo che non lo sia stata. Il peccato dovrebbe essere solitario, e non avere complici.
   Le compagnie d’assicurazione, sospettando la realtà dei fatti, si astennero dal pagare la polizza adducendo come pretesti di natura tecnica la falsa dichiarazione e la mancanza di interesse, e, con curioso coraggio, l’avvelenatore intraprese un’azione legale alla Court of Chancery contro la Imperial, essendo stato concordato che una decisione sarebbe stata valida per tutte le compagnie. Il processo malgrado ciò non si concluse che cinque anni dopo, allorché, in seguito ad un disaccordo, venne alla fine emesso un verdetto a favore delle compagnie. Il giudice in quella occasione fu Lord Abinger. Egomet Bonmot era rappresentato da Mr. Erle e Sir William Follet, e  il Procuratore Generale e Sir Frederick Pollock comparirono per l’altra parte. Il querelante, sfortunatamente, non fu in grado di presenziare a nessuno dei processi. La ricusazione delle compagnie a fondergli le 18.000 sterline lo aveva posto in una posizione di pesante e gravoso imbarazzo sul piano finanziario. Di fatti, pochi mesi dopo l’omicidio di Helen Abercrombie, egli era stato arrestato per debiti per le vie di Londra mentre stava facendo la serenata alla graziosa figlia di uno dei suoi amici. Questo inconveniente fu superato all’epoca, ma poco dopo pensò fosse più opportuno riparare all’estero finché non avesse raggiunto qualche accordo di natura pratica con i suoi creditori. Di conseguenza andò a Boulogne a far visita al padre della giovane in questione, e durante la sua permanenza laggiù lo indusse a stipulare una polizza a vita con la Pelican Company per 3000 sterline. Espletate ben presto le necessarie formalità e registrata la polizza, versò dei cristalli di strichinina nel suo caffè mentre una sera erano seduti insieme dopo cena. Lui stesso non ricavò alcun vantaggio economico nel far ciò. Il suo obiettivo fu semplicemente vendicarsi della prima compagnia che si era rifiutata di pagargli il prezzo del suo peccato. L’amico morì il giorno seguente in sua presenza, e lui lasciò immediatamente Boulogne per andare in giro a fare dei disegni in mezzo ai luoghi più pittoreschi della Bretagna, e per qualche tempo fu l’ospite di un anziano gentiluomo francese, che aveva una bella villa a St. Omer. Di qui si trasferì a Parigi, dove rimase per parecchi anni, vivendo nel lusso, dicono alcuni, invece altri parlano del suo ‘imboscarsi con il veleno in tasca, temuto da tutti quelli che lo conoscevano’. Nel 1837 tornò in Inghilterra in incognito. Una qualche strana e folle malia lo riportò a casa. Seguì una donna che amava.
   Era il mese di giugno, e Wainewright risiedeva in uno degli hotel a Covent Garden. Il suo salotto era a pianterreno, e teneva le tende prudentemente abbassate per paura d’essere visto. Tredici anni prima, quando stava collezionando la sua pregiata raccolta di maioliche e di Marco Antonio, falsò le firme dei suoi garanti su di una procura legale, cosa che gli permise di entrare in possesso di una parte dei soldi che aveva ereditato da sua madre, e di includerli nel contratto matrimoniale. Sapeva che questa truffa era stata scoperta, e che tornando in Inghilterra metteva in serio pericolo la propria vita. Nonostante tutto tornò. Ci si deve stupire?  Si disse che la donna era davvero bella. Peraltro, lei non lo amava.
   Fu per un puro caso che egli venne scoperto. Un rumore in strada attrasse la sua attenzione, e, nel suo artistico interesse per la vita moderna, scostò la tenda per un momento. Qualcuno fuori gridò: ‘È Wainewright, il Falsario’. Era Forrester, il fattorino di Bow Street. 
   Il 5 luglio fu portato all’Old Bailey. Il seguente resoconto del processo apparve sul Times:
 
   Davanti al giudice Vaughan e al barone Alderson, Thomas Griffiths Wainewright, di quarantadue anni, un uomo dall’aspetto signorile, con baffi, è stato accusato di aver falsificato e fatto circolare una certa procura legale per 2259 sterline, con l’intento di defraudare il  Governatore e la Company of the Bank of England.
   Cinque erano i capi d’accusa contro il detenuto, per ognuno dei quali egli s’è dichiarato non colpevole, quando è stato condotto davanti al sergente Arabin nel corso della mattinata una volta davanti ai giudici, tuttavia, egli ha chiesto di poter ritrattare la dichiarazione precedente, e poi s’è dichiarato colpevole per due dei capi d’accusa di non capitale importanza. Avendo l’avvocato della Banca specificato che v’erano altri tre capi d’accusa, ma che la Banca non desiderava spargere sangue, la dichiarazione di colpevolezza sui due minori capi d’accusa è stata messa agli atti, e il detenuto al termine dell’udienza è stato condannato dal magistrato alla deportazione a vita.
 
   Fu ricondotto a Newgate, in attesa d’essere deportato nelle colonie. In un passo di pura fantasia di uno dei suoi primi saggi egli aveva immaginato se stesso ‘nel carcere di Horsemonger condannato alla pena capitale’ per non esser riuscito a resistere alla tentazione di rubare qualche Marco Antonio dal British Museum con cui completare la sua collezione. La sentenza ora emessa nei suoi confronti era per un uomo della sua cultura una forma di condanna a morte. Se ne rammaricò amaramente con i suoi amici, e sottolineò, con una buona dose di ragione, che qualcuno pensasse che i soldi fossero praticamente suoi, avendoli ereditati da sua madre, e che la truffa, così com’era, era stata commessa trent’anni prima, il che, per usare la sua stessa frase, era almeno una circostance atténuante. La presenza permanente di una personalità è un problema metafisico davvero molto sottile, e di certo la legge inglese risolve la questione in una maniera estremamente rozza e spiccia. C’è, tuttavia, un che di drammatico nel fatto che questa pesante punizione fu a lui inflitta per quello che, se rammentiamo la sua fatale influenza sulla prosa del giornalismo moderno, non fu certo il peggiore dei suoi peccati.
   Mentre si trovava in carcere, Dickens, Macready, e Hablot Browne per caso si imbatterono in lui. Stavano girando per le prigioni di Londra, alla ricerca di spunti artistici, e a Newgate presero subito visione di Wainewright. Lui li approcciò con uno sguardo provocante, Forster ce lo racconta, ma Macready rimase ‘inorridito nel riconoscere una persona a lui familiare negli anni passati, e alla cui tavola aveva pranzato’.
   Altri ebbero più curiosità, e la sua cella fu per un po’ di tempo una specie di salotto alla moda. Molti uomini di lettere andarono a visitare il loro antico collega. Ma Wainewright non era più il Giano gentile e giulivo che Charles Lamb ammirò. Sembra fosse divenuto alquanto cinico.
   All’agente di una compagnia d’assicurazione che un pomeriggio era andato a fargli visita, e che aveva pensato di rendere l’occasione più proficua facendo notare che, dopo tutto, il crimine era una cattiva speculazione, egli replicò: ‘Sir, voi uomini della City fate le vostre speculazioni, con tutti i rischi. Alcune delle vostre speculazioni vanno in porto, altre falliscono. A me è capitato che la mia non abbia avuto successo, le vostre invece hanno avuto buon esito. È la sola differenza, Sir, tra il mio visitatore e me. Ma, Sir, vi dirò una cosa in cui alla fine io ho avuto successo. Per tutta la vita sono stato determinato nel mantenere la posizione di un gentleman. Ho sempre agito così. E così agisco ancora. È regola di questo luogo che ogni recluso di una cella passi la sua mattinata a spazzarla. Io divido la mia cella con un muratore e uno spazzino, ma loro non mi porgono mai la scopa!’. Quando un amico lo biasimò per l’omicidio di Helen Abercrombie lui scrollò le spalle e disse, ‘Sì; è stata un’azione orribile, ma lei aveva le caviglie molto grosse’. 
   Da Newgate fu condotto alle segrete di Portsmouth, e di lì imbarcato sulla Susan in Van Diemen’s Land [7] con trecento altri deportati. Il “viaggio” a quanto pare non fu di suo gusto, e in una lettera scritta a un amico si sfogò amaramente parlando dell’ignominia subita dal ‘compagno di poeti e artisti’ costretto a associarsi con dei ‘buzzurri’. L’espressione che indirizza ai suoi compagni non ci sorprende. Il crimine in Inghilterra è raramente l’effetto di un peccato. È quasi sempre l’effetto della fame. Probabilmente non c’era nessuno a bordo nel quale avrebbe potuto trovare un ascoltatore comprensivo, o magari una natura interessante dal punto di vista psicologico.
   Il suo amore per l’arte, comunque, non lo abbandonò mai. A Hobart Town aprì uno studio, e tornò a disegnare e a fare ritratti, e la sua conversazione e le sue maniere sembra non avessero perduto il loro fascino. Neppure abbandonò la sua abitudine di avvelenatore, e vi sono due casi registrati in cui lui provò a far fuori le persone che lo avevano offeso. Ma le sue mani pare avessero perduto la loro destrezza. Entrambi i suoi tentativi furono un completo fallimento, e nel 1844, completamente insoddisfatto della società tasmaniana, presentò un memoriale al governatore della colonia, Sir John Eardley Wilmot, con preghiera di essere imbarcato. Nel memoriale egli parla di sé come di una persona ‘tormentata da idee che lottano per ottenere una forma e una realizzazione, impedito ad aumentare il suo bagaglio di conoscenze, e privato dell’esercizio di un fertile o quantomeno decoroso colloquio’. La sua richiesta fu tuttavia respinta, e l’amico di Coleridge si consolò creandosi quei meravigliosi Paradis Artificiels i cui segreti sono noti solo ai consumatori di oppio. Nel 1852 morì di apoplessia, avendo come unico suo compagno un gatto, per il quale aveva sviluppato un affetto straordinario.
   A quanto pare i suoi crimini hanno avuto un importante effetto sulla sua arte. Improntarono una forte personalità al suo stile, una qualità che certamente mancava alla sua opera giovanile. In una nota alla Vita di Dickens, Forster rammenta che nel 1847 Lady Blessington ricevette dal fratello, il maggiore Power, che era in servizio a Hobart Town, un ritratto a olio di una giovane donna opera dell’abile pennello di Wainewright; e si diceva che ‘egli fece in modo di istillare l’espressione della sua propria malvagità nel ritratto di una graziosa fanciulla dal cuore gentile’. M. Zola, in uno dei suoi romanzi, ci narra di un giovane che, avendo commesso un delitto, si dà all’arte, e dipinge verdognoli ritratti impressionisti di persone perfettamente rispettabili, tutti quanti con una curiosa rassomiglianza con la propria vittima. L’evoluzione dello stile di Mr. Wainewright a me pare ancor più sottile e suggestivo. Si può immaginare una personalità intensa forgiata dal peccato.
   Questa figura strana e affascinante che per pochi anni abbagliò la Londra letteraria, e fece un così brillante debut nella vita e nelle lettere, è fuor di dubbio uno studio assai interessante. Mr. W. Carew Hazlitt, il suo ultimo biografo, cui io sono in debito per molti dei fatti contenuti in questa memoire, e il cui libello è, veramente, a modo suo affatto inestimabile, è dell’opinione che il suo amore per l’arte e la natura furono un mero pretesto e una presunzione, e altri gli hanno negato per intero il suo valore letterario. A me sembra un giudizio superficiale, o quanto meno errato. Il fatto che un uomo sia un avvelenatore non inficia per niente la sua prosa. Le virtù domestiche non sono il vero fondamento dell’arte, sebbene possano servire come una eccellente réclame per artisti di second’ordine. Probabilmente De Quincey ha esagerato le sue doti di critico, e non posso fare a meno di ripetere che v’è molto nelle sue pubblicazioni che risulta troppo familiare, troppo comune, troppo giornalistico, nel senso deteriore di questo brutto vocabolo. Qua e là egli è distintamente volgare nell’espressione, e sempre gli manca la moderazione del vero artista. Ma per alcune delle sue pecche dobbiamo biasimare l’epoca in cui visse, e, dopo tutto, una  prosa che Charles Lamb ritenne ‘eccellente’ presenta un interesse storico non da poco. Il fatto che egli avesse un sincero amore per l’arte e la natura a me pare del tutto palese. Non esiste un’essenziale incongruità tra crimine e cultura. Non possiamo riscrivere l’intera storia con il proposito di gratificare il nostro senso morale con ciò che dovrebbe essere.
   Naturalmente, egli è troppo vicino al nostro tempo per permetterci di formare alcun giudizio puramente artistico su di lui. È impossibile non provare un forte pregiudizio nei confronti di un uomo che avrebbe potuto avvelenare Lord Tennyson, o Mr. Gladstone, il Rettore di Balliol. Ma se quest’uomo avesse indossato un costume e parlato una lingua diversa dalla nostra, e fosse vissuto nella Roma imperiale, o all’epoca del Rinascimento italiano, o nella Spagna del diciassettesimo secolo, o in qualunque paese o secolo tranne questo secolo e questo paese, noi saremmo stati in grado di giungere a una valutazione perfettamente scevra da pregiudizi sulla sua posizione e sul suo valore. So che ci sono molti storici, o perlomeno scrittori di soggetti storici, che continuano a credere necessaria l’applicazione di giudizi morali alla storia, e che distribuiscono le loro lodi o biasimi con la solenne compiacenza di un maestro di scuola di successo. Questo, comunque, è un vezzo assurdo, e mostra soltanto che l’istinto morale può essere portato a un grado così elevato di perfezione da rendersi manifesto quando non è richiesto. Nessuno che abbia un autentico senso della storia si sogna di biasimare Nerone, o di rimbrottare Tiberio, o di censurare Cesare Borgia. Questi personaggi sono diventati come le marionette di una commedia. Possono riempirci di terrore, o di orrore, o meraviglia, ma non ci danneggiano. Non sono in relazione immediata con noi. Non abbiamo da temer niente da loro. Sono passati nella sfera dell’arte e della scienza, e nessuna arte né scienza sanno qualcosa dell’approvazione o disapprovazione morale. E così un giorno forse sarà dell’amico di Charles Lamb. Al momento io lo sento un po’ troppo moderno per esser trattato con quel bello spirito di disinteressata curiosità al quale dobbiamo così tanti affascinanti studi dei grandi criminali del Rinascimento Italiano nati dalle penne di Mr. John Addington Symonds, Miss A. Mary F. Robinson, Miss Vernon Lee, e di altri scrittori illustri. Tuttavia, l’Arte non lo ha dimenticato. Egli è l’eroe di Hunted Down di Dickens, e il Varney della Lucretia di Bulwer; ed è consolante sottolineare che la finzione ha reso un qualche omaggio a una persona che fu così potente con ‘penna, matita e veleno’. Essere in grado d’ispirare la finzione significa essere più importante di un fatto.

   [7] Van Diemen’s Land fu il nome con cui l’olandese Abel Jansen Tasman battezzò l’isola da lui scoperta, in onore di Anthony Van Diemen, governatore generale della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Questo nome è stato mantenuto fino al 1885, trentatrè anni dopo la morte di Wainewright, e da allora l’isola è denominata Tasmania. 



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