Osservatorio LitBlog n. 29

Creato il 14 gennaio 2014 da Letteratitudine

(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)

a cura di Francesca G. Marone

Il dolore accanto a noi
(da Minima et Moralia)

Sono grata alla riflessione posta dall’autore nel pezzo che vi propongo di leggere, è qualcosa che ho sentito molto vicina a me, una ferita forse ancora aperta. Eppure è un bene che lo sia, perché fa parte di quel sentire sulla pelle le emozioni della nostra vita ma anche di quella vita che nostra non sembra essere. Vivere accanto alla malattia o al dolore di un essere umano è esperienza che ci riconduce alla vita e non alla spettacolarizzazione di essa. E cosa può fare la letteratura di fronte al dolore? Molto, moltissimo. Oltrepassare tutti i filtri che il morboso risucchio mediatico opera ogni giorno su di noi. Così leggendo il necessario articolo di Raimo, ho rivisto dinanzi agli occhi tutto lo sciame irrispettoso di immagini di malattia, dolore, disgrazie, capitate a personaggi pubblici nell’ultimo periodo, le ho viste ma ne ho vissuto nell’animo soltanto un riverbero. “Le esperienze migliori che credo si possano fare nella propria vita sono quelle di stare vicino a una persona sofferente” scrive l’autore, concordo pienamente, ed aggiungo: ridare una dignità alla sofferenza fisica di coloro che ci assomigliano diventa condizione necessaria per vivere pienamente. Certi passi di testi della letteratura raccontano la malattia come fosse un passaggio per una dimensione altra, ci aiutano ad avviare quel processo di elaborazione del lutto che ci necessita per andare avanti. Inoltre, l’immagine dell’articolo, la raffigurazione di un dipinto della pittrice messicana Frida Kahlo, è qualcosa che porto nel cuore, e che ho avuto modo di vedere mesi fa a Parigi, in cui la tangibilità della sofferenza è così toccante da fare del male alle proprie ossa.
Se avete voglia di approfondire il tema, compresi i suggerimenti per letture interessanti sul tema, leggete qui…

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Un libro dopo i pasti
(da Booksblog)
Naturale conseguenza della lettura di cui vi ho accennato sopra, è il pezzo che vi illustro. Può un libro far del bene alla nostra salute? Al di là dell’intrinseco piacere della lettura in sé, quale male e in che modo può guarire la lettura di un buon libro? Ad esempio: possiamo lenire i dolori reumatici con un bel Calvino, o le sofferenze per un amore finito con Emily Brontë. Qualcuno ha pensato di raccogliere in un testo diverse “ricette” letterarie per i nostri malanni, sarà pure curioso o farà storcere il naso al medico curante ma noi siamo ben lieti che possa esserci una ragione di più, come cantava Ornella Vanoni, per acquistare e leggere un buon libro. Del resto precedenti illustri avevano già dispensato qualche consiglio in proposito. Freud sconsigliava assolutamente la letteratura scientifica al cosiddetto paziente nevrotico, e Jung suggeriva, diversamente, la lettura in generale ad ogni ammalato per la sua funzione intrisa di simbolismi. Senza dimenticare che il legame strettissimo fra medicina e letteratura si è fatto vivo in molte figure importanti della letteratura mondiale, come ad esempio in Anton Čechov, insieme medico e scrittore. E voi cosa consigliereste al vostro amico bisognoso di cure?
Per curiosare sull’argomento, andate qui…

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Dibattito sul realismo
(da Le parole e le cose)

Esiste davvero questo ritorno alla realtà nella letteratura e nella cinematografia? Quello che qualcuno ha chiamato il neo-neorealismo in cosa consiste esattamente? A quali riferimenti ed indicazioni bisogna far fronte per aderire alla forma di realismo dell’epoca che è stata definita “la fine del postmoderno”? Il pezzo che vi propongo di leggere tenta di produrre un quadro delle tematiche accennate, e per quanto molte di esse siano ancora aperte e dibattute, risulta interessante farne lettura e riflessione anche privata. Mi hanno molto colpita i numerosi post di risposta, alcuni un po’ fumosi e piccanti nella polemica, ma altrettanto interessanti per farci comprendere la necessità di un dibattito su questi temi che sia comprensibile anche all’appassionato fruitore di letteratura e non esclusivamente a chi di questa ne faccia un mestiere accademico. Le letture suggerite sono molte, da Ferraris a Berardinelli e Ferroni, così come gli spunti di riflessione sull’utilizzo delle categorie in campo letterario. L’ipertrofico senso di realtà propinatoci anche dalla sovrabbondanza di reality trasmessi in televisione, ci rende ancora più arduo il compito di carpire quale sia effettivamente la realtà di cui leggiamo o narriamo nella scrittura. Cosa scegliere fra personaggi e fantasmi? E’ uno dei quesiti suggeriti dall’autore di questo articolo nel richiamo alla bellezza di una frase di Sciascia, i fantasmi dei fatti, nel suo capolavoro “La scomparsa di Majorana”. E forse noi sappiamo cosa rispondere.
Se avete voglia e buona volontà, buttatevi nella lettura di questo pezzo interessantissimo, ed anche dei suoi commenti…

Francesca G. Marone


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