OT: Tutti diversi, tutti protagonisti: il 3 dicembre è la Giornata mondiale della disabilità

Creato il 04 dicembre 2014 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM

Disabili? Diversamente abili? No, semplicemente abili. L’Italia è un paese di santi, navigatori e giocolieri della parola, dove spesso si fa luogo a perifrasi nell’illusione di modificare la realtà rendendola meno pesante. Ma le parole non cambiano proprio nulla; il talento invece sì. Perché il talento non conosce barriere (neppure architettoniche) e grazie ad esso ciascuno può raggiungere grandi traguardi pur partendo da una posizione di svantaggio.

Il 3 dicembre è la Giornata mondiale della disabilità. Lo scorso anno, in Italia, lo slogan è stato: “Tutti diversi… Tutti protagonisti”. Si potrebbe qui aprire l’annoso dibattito sulla questione dell’utilità di una giornata dedicata alla disabilità: se lanciassimo un sondaggio, probabilmente una metà dei partecipanti la definirebbe una ricorrenza utile, e l’altra metà un’ipocrisia. Un salomonico pareggio tra il politicamente corretto e la realtà di una scarsa attenzione dedicata al problema negli altri 364 giorni dell’anno.

La differenza tra utilità e ipocrisia la fa il senso che noi vogliamo dare a questo 3 dicembre. Fino a tempi neanche troppo remoti la disabilità era percepita come una condanna sociale, fino a quando qualcuno non si è accorto che anche i disabili hanno talento e che era importante metterli nella condizione di dimostrarlo. Pensiamo alle parole di Alex Zanardi, personaggio che nella vita ha conosciuto entrambi i mondi, quello dei “sani” e quello dei disabili:

“Quando penso alla parola disabili penso al talento. Ognuno di noi ne ha uno: il dovere di chi si interroga su come migliorare le nostre leggi – quelle nel campo della disabilità – è anche quello di aiutare ognuno di noi a valorizzarlo. Solo così si può sgravare l’assistenza delle famiglie. E lo sport ne è un esempio”

Alle Paraolimpiadi di Londra 2012, Zanardi ha vinto due medaglie d’oro. Già, le Paraolimpiadi: un tempo erano una manifestazione semisconosciuta; a Londra, invece, hanno riempito gli stadi, guadagnandosi anche delle dirette tv che hanno appassionato milioni di persone. La prova che molte cose non saranno più come prima. Chi lo avrebbe mai detto? E non si tratta solo di sport.

Maurizio Molinari è un giornalista di stanza in Belgio. E’ abruzzese di nascita, e la rivista online Glieuros lo considera “uno dei dieci italiani più influenti a Bruxelles”. Sarebbe la classica storia di un “cervello in fuga” verso un altro Paese dove fare fortuna, se non fosse che Maurizio è non vedente dalla nascita. Eppure (grazie alla tecnologia) legge, scrive e fa informazione. Pur tra mille difficoltà si è laureato a Napoli, ha frequentato la scuola di giornalismo a Urbino e oggi lavora con la BBC, mentre tanti suoi colleghi nelle nostre lande annaspano per 500 euro al mese o neanche quelli. Glieuros lo ha definito “la prova che volere è potere”.  Abruzzoweb gli ha dedicato un servizio con intervista in calce, e alla domanda “cosa ne pensa del clima che si respira oggi in Italia” la sua risposta è stata:

Penso che le persone giovani abbiano poca voglia di fare. Sono un po’ troppo presi dal clima di decadenza che permea tutta la loro vita. Si deve sempre sognare e fare progetti, provare a realizzarli dà più energia di vivere.

Sognare e fare progetti. Ed essere utili agli altri. Fuori dai nostri confini, la storia di Chen Guangcheng, attivista cinese lo scorso anno al centro di un caso diplomatico tra Pechino e gli Stati Uniti è un altro esempio da rimarcare. Lui è cieco dalla nascita, e i ciechi, in Cina, secondo una legge del 1991 “per la protezione delle persone fisicamente handicappate”, sono esentati dal pagare le tasse, anche quelle scolastiche. Così quando alla scuola superiore di Qingdao, sua città d’origine, chiesero a Chen di pagare l’iscrizione, lui denunciò una violazione del diritto dei disabili. Anni dopo fece causa alla società statale della metropolitana di Pechino, perché non gli consentiva di viaggiare gratis come la legge stabiliva. Oggi i disabili hanno riacquistato sia il diritto allo studio che a viaggiare in metro gratuitamente. In Italia hanno scritto che lui è avvocato ma lui è solo un privato cittadino, che però ha avuto la forza di fare qualcosa che altri non avevano neppure tentato: riaffermare i diritti negati. In un Paese come la Cina dove il diritto è l’ultima delle scienze.

In Italia ci sono circa 3 milioni di disabili, ovvero il 4,8% della popolazione totale, di cui il 18% delle persone oltre i 65 anni e fino al 44,5% tra gli over 80, ma parlare di disabilità servirebbe a poco se ci soffermassimo solo su dati e cifre. I disabili sono persone, e in quanto tali hanno una storia. La mitologia greca ci ha consegnato il mito di Tiresia, indovino reso cieco ma che grazie al dono della chiaroveggenza riusciva a vedere più lontano e meglio degli stessi vedenti. Molinari e Chen ne sono quasi gli eredi spirituali: due persone a prima vista bisognose d’aiuto ma che in realtà hanno aiutato e aiutano tante persone. Due storie di talento. Di abili, non disabili. Abili come tutti i ragazzi e ragazze le cui storie di successo hanno trovato il giusto spazio nel programma tv Invincibili dell’ex Iena Marco Berry, o come Annalisa Minetti, già miss Italia, cantante e atletla paraolimpica. E che dire del già citato Alex Zanardi? Certo, parliamo di celebrità.

Ciascuno è in grado di dimostrare il proprio valore una volta messo in condizione di farlo. Ma partire dal talento non è solo il modo per offrire una individualità alle persone affette da deficit motori o visivi: è anche la chiave per aprire la strada ad un nuovo approccio culturale alle disabilità. Per questo i disabili hanno bisogno innanzitutto dell’aiuto delle istituzioni. E qui iniziano i guai.

Nel mondo le persone con disabilità sono circa un miliardo (il 15% della popolazione) e l’82% di esse vive in Paesi in via di sviluppo. Più dell’80% delle persone con disabilità nel mondo non ha un impiego e spesso tali soggetti sono segregati in istituti e centri speciali. Certo, parliamo del Terzo mondo, e noi che siamo due gradini sopra, al Primo, ce la passiamo di sicuro un po’ meglio, ma anche nella “sviluppatissima” Europa a tutt’oggi più del 60% dei bambini con disabilità nelle scuole primarie è segregata in classi o scuole speciali.

L’Italia, come spesso accade, riesce anche a far peggio: da noi il 21% delle famiglie con componenti disabili è a rischio povertà. Più in generale, in nessun altro Paese occidentale come il nostro si registra una più marcata sproporzione tra una legislazione avanzata in termini di inclusione sociale e la carenza di interventi adeguati per metterla in atto. La nostra Costituzione recita all’art. 3:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

..uno degli articoli più moralmente alti della nostra Carta e al contempo uno dei più disattesi. La legge Turco prevede il sostegno alle famiglie con disabili nelle quali i genitori si preoccupano del futuro dei loro figli dopo averli accuditi tutta la vita. Si tratta di interventi a favore delle comunità che accolgono le circa 150 mila persone che rischiano di rimanere senza genitori i quali, a loro volta, vivono il dramma del futuro dei loro figli dopo di loro. Norma tanto lodevole quanto svuotata di significato, visto che non ci sono soldi per finanziarla. Tanto basta per farci un’idea di come si possa vivere nel Belpaese da portatori di handicap. Per non parlare poi del consueto divario tra Nord e Sud, soprattutto nella scuola.

Qui sarebbe facile scagliarsi contro la politica, radice di tutti i mali e in realtà specchio per le allodole di una società le cui lacune si annidano molto più in basso. La politica sa anche offrirci esempi virtuosi: a Nuoro, in settembre, la giunta comunale si è tagliata lo stipendio del 20% per sostenere gli interventi in favore delle fasce più deboli, disabili compresi. Eppure non è ha parlato nessuno. La notizia è stata battuta dall’agenzia stampa Adn Kronos e riportata sul Corriere, e poi basta. Siamo talmente abituati a parlare dei politici per le loro scorribande di soldi pubblici che quando invece compiono un atto meritorio, quando cioè avremmo una “buona notizia” con cui aprire le prime pagine dei giornali, finiamo per non farci neppure caso.

E questo silenzio è in fondo lo stesso che accompagna il tema della disabilità nel dibattito pubblico. Eppure la disabilità non è una condizione estranea alla società, ma ne fa parte. La disabilità è la società. Nel caso di Chen, la disabilità è stata una spinta verso il progresso della società intera; in quello di Molinari la prova che si può vedere lontano nonostante il buio al di là dei nostri occhi; in quello di Zanardi, infine, la prova il cammino della vita continua, come prima e più di prima, anche dopo che un drammatico incidente ci porta via le gambe. 

Normalità significa non stupirsi del fatto che gli atleti paraolimpici siano visti in tv da milioni di persone, o che una ragazza come Manuela Migliaccio (nella foto), paralizzata dalla vita in giù dopo una caduta, abbia una vita sportiva, sociale e professionale più attivamente normale di quella di tanti “normali”. Li vediamo finalmente belli, non disabileBravi, non disabiliPersone, non disabili. Abili, non disabili. Tutti diversi, e tutti protagonisti.


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