La sera con il vento, l’attesa vicino alla macchina, lui che arriva, il saluto.
Primo appuntamento: vestito nuovo, provocante ed audace ma non troppo, abito corto come non porti mai. Parrucchiere nel pomeriggio, profumo in abbondanza – sarà troppo, probabilmente – , manicure.
Otto marzo millenovecentonovanta.
Nel parcheggio donne in festa soltanto, anche loro vestite di nuovo; risate alte, grida, richiami. Allegria di ragazze, di donne che escono insieme parlando. Gli scherzi, le battute esagerate.
Prime feste con spogliarello maschile, uscite sdoganate dai ragazzi, i fidanzati, i mariti. Stasera rimangono a casa, cucinano, stanno da soli, guardano i figli. Stasera alla casa la cena il cane pensano loro. Stasera libertà: libertà fra donne.
Otto marzo millenovecentonovanta.
Le scarpe col tacco forse un po’ esagerato, la camminata insicura.
– Vieni, appoggiati, ti tengo io.
La gonna stretta, andiamo. Va bene la pizzeria, una qualunque. Ti siedi di fronte a lui per parlare.
Nell’angolo e poco lontano, dodici donne, tavolata apparecchiata: vi guardano, non sorridono ma che importa. Sei grande, fai quello che vuoi.
Poi la strada, la macchina, quasi una vita. Abitudini create d’incanto, giorni buoni, consuetudini, forza per restare, i problemi quotidiani.
Otto marzo millenovecentonovanta, anniversario.
Vieni fuori ora
Invecchio. Mentre il giorno qui s’attenda,
senza darsi dattorno, non atteso,
penso ai miei casi, il da farsi, le agenda,
pure a te, santoddio, beninteso.
Pioverà? Farà bel tempo? Che attenda
per uscire un segnale o ancora teso
mi comprenda male ritmo e vicenda?
Intanto, come tutti, mi soppeso
gli inviti del caso, poi l’ora chiusa…
Rilasso il ventre ch’è quasi mattina,
se non funzione pur sempre richiamo
all’arduo mio zampettio di gallina
su per la via alla vita, assai confusa,
chiocciante… Vieni fuori ora e finiamola!
Patrizia Valduga
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