Ogni giorno il mio lavoro mi porta a confrontarmi con persone più giovani di me.Ogni anno che passa diventa più difficle. Quest'anno i neodiplomati sono nati senza aver visto i mondiali di Italia90, se gli parlo della mascotte Ciao non sanno cosa sia.......tragedia e io che ancora rimembro le "Notti magiche".
Mi rendo conto che inesorabilmente sto abbandonando la fascia dei junior, dopo aver già abbandonato quella dei neolaureati, e mi avvio a consumare quella dei
medium.
Tutto questo si scontra con una non perfetta percezione di me stesso.
Dopo un piccolo incidente accaduto un paio di sabati fa, mentre tentavo un gesto atletico, mi sono accorto che la mia testa è convinta di poter fare cose che il mio corpo non è più (o non è mai stato?!?) in grado di fare.
Faccio outing e ve le racconto, magari sono terapeutiche.
Partiamo dall’ultima.
Al rientro da un bel giro in moto (su http://motociclistidatavola.blogspot.com trovate il racconto del Tour dell'Eroica), mi ritrovo fuori dalla locanda con mio babbo. La locanda ha un piccolo patio con le sue belle colonne ed un piccolo muretto. Mio babbo ha la macchina fotografica in mano, è fuori dal patio e io gli dico “stai lì, fammi una foto mentre salto”.
Ecco quello che è successo. Il salto era veramente banale, parto con passo deciso ma superficiale, giunto in prossimità dell’ostacolo il mio cervello, come fosse una centralina, elabora che non ho sufficienti informazioni su quello che mi aspetta al di là del muretto. Un marciapiede? Un po’ di ghiaia? Un mix? Ecco che allora, pur di non arrestare la corsa accetta il compromesso di appoggiare una mano e di saltare tipo “olio cuore”. In sequenza: alluce sinistro che urta contro il muretto mentre la velocità di rotazione della gamba è prossima a quella della luce, ginocchiata sulla parte superiore del muretto, caduta sul ghiaino con rotazione del corpo ed escoriazioni su stinco ed avambraccio. Attenzione, stinco sinistro ed avambraccio destro, a testimonianza del fatto che ho proprio rotolato. Ridevo ancora mentre rotolavo.
Scena due.
Stoccolma 2009. Parco a tema con cavallino in legno arancione tipico della Svezia. Al garrese è alto circa un metro e mezzo, anche meno (è quello sullo sfondo della foto). Lo approccio e chiedo a Giulia di fotografarmi quando ci sono sopra. In rapida successione. Slancio falese su fondo cedevole (ghiaia misto sabbia) con abbinata scarsa spinta sulle braccia ritenute superflue allo sforzo, rotazione della gamba destra alla velocità della luce per salire sul cavallino, slancio della stessa gamba insufficiente per passare sopra al cavallo e conseguente ginocchiata contro culone ligneo della bestia. Tutta Stoccolma ha vibrato per venti secondi come un grande diapason mentre io ho zoppicato per tutta la giornata.
Scena tre. Estate 2010. Villaggio vacanze con piscina e trampolino. Approccio con sospetto il trampolino e poi, dopo rapida analisi della situazione, mi lancio in uno sgraziato tuffo con capriola in avanti.
Esco dall’acqua con lo sguardo illuminato tipo Wily E. Coyote quando pensa a qualcosa di geniale e dichiaro: “Giulia pronta a scattare che faccio la capriola all’indietro”. Notare che il mio ego richiede sempre una foto in questi frangenti, non conosco pudore. Mi approccio al trampolino con nuova confidenza ed arroganza, doppio slancio sulla pedana, balzo in avanti con ancora il sopracciglio alzato in segno di sfida e inizio della manovra di contro rotazione del corpo.
Appena raggiunta posizione perfettamente supina e parallela allo specchio d’acqua la rotazione si blocca di colpo e precipito sul pavimento d’acqua piatto come un frisbee. Non ricordo di essere neppure affondato ma di essere stato spinto fuori dall’acqua restando in superficie. Ho avuto la schiena rossa per metà pomeriggio.
Ecco, questi sono solo alcuni degli episodi che di recente mi hanno portato a confrontarmi col concetto di auto percezione. Magari prossimamente entro nel dettaglio. Se sopravvivo a me stesso.