Ovunque tu sarai di Fioly Bocca

Creato il 04 giugno 2015 da Anncleire @anncleire

Chi può dire quando scatta davvero l'amore, quando si accende quella spia luminosa che non ti permette più di concentrarti sulle cose che fino al giorno prima facevi con la meccanicità di un automa. A un certo punto niente è degno della tua attenzione: mentre guidi pensi a come lui potrà mai stringere le mani sul volante, ti lavi i denti e vedi i suoi occhi fissarti attraverso lo specchio, cucini un piatto di spaghetti e ti chiedi se preferisca il peperoncino o il pepe.

Chissà se l'innamoramento è una scossa improvvisa, come uno sparo nel buio, o se si tratti invece di una scia che si insinua tra i pensieri e li trasforma, la bava di una lumaca che cammina piano, lucidando appena la strada che si lascia dietro.

“Ovunque tu sarai” è l’esordio di Fioly Bocca, portato nelle nostre librerie da Giunti. Se non mi avessero proposto di leggerlo in anteprima probabilmente non gli avrei dato molto peso. È una di quelle storie che sembrano già scritte, eppure ti raccontano la vicenda in modo nuovo, o forse con parole diverse, che riescono a penetrare la nebbia ed essere più incisive. Una storia delicata e un esordio convincente.

Anita vive da tanti anni a Torino ma è cresciuta sulle Dolomiti, dove l’aria trasparente profuma sempre di legno e di terra, e dove negli ultimi tempi è costretta a tornare a causa della terribile malattia di sua madre, che peggiora ogni giorno di più. È giusto mentire per proteggere chi ami? Anita decide di sì e ogni sera, quando si mette al computer per scrivere l’e-mail della buonanotte a sua mamma, racconta un sacco di bugie. Non le dice che il lavoro all’agenzia letteraria non le piace per niente, né che il suo fidanzato, Tancredi, è distratto, assente e certo non muore dalla voglia di fare piani concreti. Anzi, Anita descrive i preparativi per le nozze, immagina la chiesa del paese addobbata di fiori e i bambini che verranno. Finché un giorno, sul treno che la riporta a Torino, ogni finzione crolla di fronte agli occhi esotici di Arun, due occhi profondi che sanno guardare davvero, e a cui basta un istante per leggere tutta la tristezza di Anita. Ma chi è questo scrittore per bambini che ama il mare d’inverno? E perché, anche se vuole tenerlo lontano, qualcosa la riporta insistentemente a lui?

Struggente e drammatico, pieno di speranza e di gioia, Ovunque tu sarai è un romanzo sul potere magico di un incontro, quando lo sguardo di uno sconosciuto ti rivela che niente è per caso.

È molto dreamy l’atmosfera che si respira leggendo questa storia, una consistenza quasi onirica che risulta smorzare la durezza della storia. La Bocca non si censura, il dolore e l’apatia sono palpabili, quasi dei personaggi che camminano al fianco di Anita mentre cerca di scoprire i disincanti di una vita che va cambiata in prima persona. Non ci si può nascondere dietro paure e sensazioni o dietro la consistenza rassicurante di una storia ormai giunta al capolinea. La vita va respirata e vissuta in prima persona, al di là delle piccole cedevolezze e paure che permangono sotto gli occhi.

Anita racconta la sua storia in prima persona alternando dialoghi a considerazioni, ricordi e commenti. È l’emblema della generazione di trentenni perennemente insoddisfatti, cresciuti con tante velleità e sogni, con la  speranza di poter conquistare il mondo e che in mano stringono un lavoro che non sopportano, che continuano a perpetrare perché paga le bollette. Quelle maledette spese che sembrano non finire mai. Anita apparentemente è serena, perché non si può sempre vivere al massimo, ma quando i pezzi della sua esistenza iniziano a sgretolarsi si ritrova sola, insoddisfatta, in preda ad un dolore che ha radici così profonde che ha bisogno di un cambio di prospettiva autentico per essere sradicato. E Anita è più forte di tutto, della morte e di un amore così abitudinario che sembra aver indossato una maschera. Spesso ci si lascia trasportare dalla corrente, senza essere in grado di essere propositivi in circostanze che fanno rabbrividire. E la madre, la colonna portante non solo della sua famiglia, ma della sua vita tutta, diventa il simbolo dello sfacelo. L’età adulta spaventa, con quel cipiglio incollerito, la serietà che non perdona, quella voglia profonda di stabilità, economica e affettiva, che poi trancia gli slanci improvvisi, la voglia di sperimentare, la voglia, inconsapevole a volte, di prendere e cambiare tutto. Le generazioni che ci  hanno preceduto hanno fatto del precariato una parola impronunciabile, ma che poi è la vera essenza della vita odierna, una fragilità che sembra vomitare addosso tutto, che non perdona la nostra presunzione di essere immortali. Anita si ritrova ad affrontare questa verità, amara, e senza possibilità di scampo quando su un treno (e quanto simbolico è un treno) incontra Arun, un uomo dal nome esotico, e una professione ancora più insolita, quello dello scrittore di libri per bambini. Arun diventa la miccia che accende la consapevolezza di Anita, ma è anche un personaggio affascinante, che aggiunge colore all’esistenza grigia della donna. Arun è un uomo complesso e affascinante con gli impulsi di un uomo che vive in un mondo ancora innocente. Pur avendo al passato una storia complicata e fragile, una storia che si nutre di un passato burrascoso, ha avuto la forza di superare le difficoltà e immergersi in quella possibilità dell’oltre, del di più, in un mondo dove la magia, quella dei sentimenti, è possibile. Dall’altro lato abbiamo Tancredi, un uomo che sa quello che vuole, sicuro di sé e ambizioso a cui non è stato dato lo spazio che meritava. In fondo è colpa anche di Anita se le cose stanno in una determinata maniera. Ma la vita è imprevedibile, un continuo divenire e trasformarsi, trovare nuovi spunti e ambizioni e sogni.

Torino, la capitale di Cavur, fa da sfondo principale alla vicenda che si sposta sulle Dolomite, in quel Trentino indomito, chiuso, come gli abitanti, montanari, che vi dimorano. Le descrizioni riecheggiano quell’atmosfera sognante di cui parlavo all’inizio, armonizzandosi perfettamente alla storia.

Il particolare da non dimenticare? Un paio di stivaletti rossi.

Tra schizzi di una mondanità troppo frettolosa e preludi di una dolcezza inaspettata tra le montagne, Anita respira e cresce, scoprendo nuove verità che ha sempre saputo. Una storia di un dolceamaro molto particolare, già raccontata forse, ma con protagonisti interessanti, una prosa fluida e il destino, che gioca le sue mani quando meno lo si aspetta.


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