P 1302-102: il quasar pirotecnico

Creato il 17 settembre 2015 da Media Inaf

All’inizio di quest’anno gli astronomi hanno scoperto una coppia di buchi neri supermassicci con orbite tanto strette da essere prossimi ad una collisione. Le stime indicavano anche che tale collisione avrebbe potuto dar vita ad una raffica di onde gravitazionali.

Oggi, in uno studio apparso sulla rivista Nature, un team di scienziati della Columbia University fornisce ulteriori prove a favore del fatto che una coppia di buchi neri molto vicini tra loro sia responsabile dei lampi di luce ricorrenti che provengono dal quasar chiamato PG 1302-102

In base alle stime di massa di questi due oggetti (insieme, e uno rispetto all’altro) i ricercatori hanno previsto una collisione tra circa 100.000 anni, un tempo incredibilmente lungo per l’uomo, ma un battito di ciglia per una stella. La coppia in questione spiraleggia a 3.5 miliardi di anni luce di distanza da noi, in direzione della costellazione della Vergine, ed è separata dalla breve distanza di una settimana-luce, ovvero lo spazio percorso dalla luce in una settimana. Per confronto, la coppia di buchi neri più stretta che si conosceva finora è separata da circa 20 anni luce.

«Questo sistema è quanto di più estremo siamo mai riusciti ad osservare per una coppia di buchi neri supermassicci prossimi alla collisione», ha detto Zoltan Haiman, autore dello studio e astronomo presso la Columbia. «Studiare questo processo mentre raggiunge il suo culmine ci può aiutare a capire se i buchi neri e le galassie crescano allo stesso ritmo, nonché a testare una delle proprietà fondamentali dello spazio-tempo: la sua capacità di trasportare le onde gravitazionali, prodotto delle ultime fasi violente della fusione»

Al centro della maggior parte delle galassie giganti, compresa la nostra Via Lattea, si trova un buco nero supermassiccio, un corpo celeste così denso che nemmeno la luce può sfuggire dalla sua attrazione fatale. Nel corso del tempo i buchi neri crescono, diventando da milioni a miliardi di volte più massici del Sole, e inghiottendo stelle, galassie e altri buchi neri.

Un buco nero supermassiccio che sta per cannibalizzare ciò che lo circonda può essere rilevato dal misterioso tremolio di un quasar. Normalmente, i quasar aumentano e diminuiscono l’intensità della luce che emettono senza alcuna regolarità, ma quando due buchi neri stanno per fondersi, la luce del quasar oscilla a intervalli regolari, come una lampadina collegata ad un timer.

Recentemente un team guidato da Matthew Graham, astronomo presso il California Institute of Technology, ha progettato un algoritmo in grado di selezionare i segnali luminosi con oscillazioni regolari provenienti dai 247.000 quasar monitorati da telescopi in Arizona e in Australia. Tra le 20 coppie di buchi neri candidati emerse dall’analisi, si sono concentrati su quella più convincente: PG 1302-102. In uno studio apparso su Nature a gennaio hanno mostrato che PG 1302-102 aumenta la propria luminosità del 14 per cento ogni cinque anni, indicando che la coppia si trova a meno di un decimo di anno luce di distanza.

Incuriosito, Haiman insieme ai suoi colleghi si è chiesto se fosse possibile costruire un modello teorico che spiegasse la ripetizione del segnale. Se i buchi neri si fossero trovati così vicini, hanno ipotizzato gli scienziati, uno dei due avrebbe dovuto ruotare attorno ad una controparte molto più grande, a circa un decimo della velocità della luce. A quella velocità, il buco nero più piccolo appare più luminoso mentre si avvicina alla linea di vista della Terra a causa dell’effetto Doppler relativistico (ovvero la variazione di frequenza della luce dovuta ai moti relativi della sorgente e dell’osservatore, corretta per gli effetti dovuti alla relatività speciale).

Se questa teoria fosse stata giusta, avrebbero dovuto osservare una ciclicità quinquennale delle emissioni ultraviolette del quasar. Analizzando le osservazioni UV raccolte dai telescopi spaziali Hubble e GALEX della NASA hanno trovato esattamente quanto previsto.

Le spiegazioni fornite in precedenza per la periodicità del segnale includono una deformazione del disco di accrescimento del buco nero, un’oscillazione del suo asse di rotazione e un disco di detriti asimmetrico generato dal trasferimento di materiale da un buco nero all’altro. Tutti questi elementi avrebbero contribuito a creare l’impressione di una variazione periodica.

La teoria di Einstein prevede che due buchi neri in collisione emettano onde gravitazionali, ma queste onde non sono ancora state rivelate direttamente. Nell’immagine, la rappresentazione artistica delle onde gravitazionali che si muovono attraverso lo spazio-tempo. Crediti: NASA

Il nuovo studio, affermano i ricercatori, fornisce anche una nuova tecnica per l’indagine di altri buchi neri in coalescenza. Stimando la massa combinata e le masse relative dei buchi neri di PG 1302-102, i tempi previsti per lo scontro si riducono ad un intervallo tra 20.000 e 350.000 anni da oggi, con la stima migliore a 100.000 anni, mentre la previsione del  team guidato da Graham variava da 10.000 a diversi milioni di anni, con la stima migliore a 250.000 anni.

«Cominciamo ad essere in grado di stimare i tassi di coalescenza dei buchi neri e della loro progressiva crescita in buchi neri più massicci. Inoltre, potremo estendere ciò che stiamo imparando per cercare altre coppie di buchi neri», ha detto il co-autore dello studio David Schiminovich, astronomo presso la Columbia.

Il piccolo aumento del numero di buchi neri binari scoperti regala agli astronomi la speranza che entro il prossimo decennio sarà possibile osservare una collisione. Quest’estate Graham e i suoi colleghi hanno raccolto altri 90 candidati, mentre il team della Columbia svelerà a breve le scoperte effettuate grazie ai dati prodotti dal Palomar Observatory

Con il numero crescente di buchi neri osservati aumenta anche la possibilità di assistere a una collisione e alle onde gravitazionali previste dalla teoria della relatività generale di Einstein, ma per ora mai rilevate.

«La rilevazione diretta di onde gravitazionali ci permette di sondare i segreti della gravità e di testare la teoria di Einstein nell’ambiente più estremo nel nostro Universo: i buchi neri», ha dichiarato Daniel D’Orazio, autore principale dello studio e studente laureato alla Columbia. «Arrivarci sarebbe il sacro graal nel nostro campo di ricerca»

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli