Il film racconta di come intere legioni di mostruose creature mutanti, denominate Kaiju, emerse dalle profondità dell'Oceano Pacifico, stiano mettendo in pericolo il nostro pianeta. Per combattere i selvaggi mostri sono stati ideati degli enormi robot chiamati Jaegers guidati da due piloti che comunicano tra loro mediante la connessione delle loro rispettive reti neurali. Ma persino gli Jaegers sembrano impotenti di fronte alla violenza degli attacchi da parte dei Kaiju. Sul confine della loro definitiva estinzione agli umani non resta che affidarsi a due poco affidabili eroi: uno scapestrato ex-pilota traumatizzato dalla morte del fratello durante uno scontro con uno dei mostri marini, e una allieva dall'animo emotivamente fragile. Saranno loro le ultime speranze del genere umano...
"Pacif Rim" è un film olimpico, mitologico in chiave moderna, nel quale Guillermo del Toro, o meglio il bambino che è in lui, sembra voler travasare tutta la fantasia preadolescenziale dell'umanità degli spettatori convenuti a guardarlo. Ma è soprattutto il preadolescente che alberga negli anfratti inconsci e preconsci del regista a muovere la macchina, i personaggi e i mostri sul set. A me sembra che questo sia il pregio maggiore di questo film così magniloquente e solo all'apparenza molto simile ad altri "robot movie" o cartoons che abbiamo visto fin qui (da Goldrake a Transformers - 2007). Fin dalle prime sequenze la pellicola si posiziona appunto sulla cima di un Olimpo storico-sociale molto improbabile, come molto improbabile è anche tutta la faccenda relativa alla "connessione neurale" dei due cervelli dei piloti che guidano dal loro interno i robot. Su questa improbabilità totale è centrata tuttavia tutta la potenza evocativa del film, che introduce e sviluppa quella che potremmo definire una grande metafora centripeta, una figura retorica che cioè cerca di fondere insieme due aree semantiche lontanissime: la concretissima tecnologia fantascientifica e la fragile, impalpabile soggettività dell'individuo. I due piloti guidano infatti dei robot d'acciaio e titanio, ma essi possono funzionare al meglio se i ricordi dei piloti scorrono fluidi e senza alcuna resistenza, dall'uno all'altro. Quest'ultimo sembrerebbe il particolare insignificante di un'altrettanto insignificante sceneggiatura da film estivo qualsiasi, invece Del Toro rimane saldamente agganciato al suo (al nostro) immaginario infantile mostruoso-rutilante, e lo fa lavorare secondo le sue logiche non lineari, fregandosene bellamente di ogni raziocinio narrativo, e raggiungendo un risultato non paragonabile ad altre pellicole similari. Il risultato finale di questo lavoro è ovviamente un grande, grandioso divertissement assolutamente fine a se stesso, che al massimo ricorda il Godzilla/Gojira (1954) di Ishiro Honda, ma neanche ha la pretesa di rinfrescarne i fasti. Del Toro non ha qui alcuna pretesa in verità, se non quella di divertirsi e stupirci con effetti speciali. Desidera semplicemente far spalancare gli occhioni del bambino che è in noi, molto simile alla Mako bambina, con quel suo paletot azzurrino con le cuciture in evidenza, alle prese con il mostro che la rincorre per le strade della città deserta per mangiarsela. Anche tutto l'apparato pseudoscientifico che ci mostra gli encefali dei vari mostri Kaiju messi in formalina nei laboratori militari, appartengono alla stessa filigrana immaginifica, con quei gangli proboscidiformi che si appiccicano ai vetri delle teche in cui sono confinati. Queste immagini ci rimandano direttamente a quelle di Hellboy (2004), ma in "Pacific Rim" il tutto è trattato in modo ancor più proteiforme e mucillaginesco, in modo cioè cinematograficamente più libero, onirico e fantasticato, senza remore, attraverso l'utilizzo di una verve visiva completamente, e appositamente lanciata a briglia sciolta. Anche le caratterizzazioni dei personaggi, molto tarate sull'"eroico", cioè su uno stile pomposo americaneggiante con tanto di sacrificio umano da parte del comandante supremo, vanno in questa direzione, che può irritare certamente i più, sono messe in scena intenzionalmente, perché c'è un bambino che sta giocando, che sta leggendo un fumettone adrenalinico, mica un professore di filosofia di Berkeley, accidenti! "Pacific Rim" è dunque un'operazione totalmente ludico-libidinale e su questa linea rimane dal primo minuto all'ultimo di girato. Come pensare altrimenti un finale happy end come quello di questo film, finale preceduto da un prefinale sottomarino e abissale che allestisce lo scontro definitivo coi mostri in un modo all'apparenza così puerilmente hollywoodiano? Anche il tema del lutto di Becket (Charlie Hunnam) per il fratello ucciso durante lo scontro iniziale con un Kaiju, viene posto subito su uno sfondo temporale sfocato e ininfluente, là dove deve trionfare l'effetto speciale, il colore, la lotta, la sequenza con "il mostro in primo piano" (magistrale nell'ottica di questa estetica assolutamente ludica è la sequenza in cui si scopre che un Kaiju appena ucciso, porta dentro di sè un cucciolo che nascerà e combinerà subito pantagruelici danni). Del Toro in "Pacific Rim" decide di dedicarsi al piacere di girare un monster movie grosso, grasso e completamente sganciato da qualsiasi messaggio: è questa infatti la quintessenza del gioco in quanto tale. Provate a chiedere a un bambino perché gioca. Credo che vi risponderà, alzando le spalle: "perché di sì", ed è quanto basta a giustificarne il senso. Ma dobbiamo passare ora ad un aspetto che non mi ha completamente convinto di questo film. Del Toro ha grande libertà di mezzi e di movimento, ma allora perché non si (ci) intrattiene di più intorno alla figura del mostro? Perché non lo caratterizza con più cura, curiosità, come aveva fatto ad esempio nel memorabile Hellboy? E' vero che il regista vuole porsi agli antipodi di un film stile Alien (1979), e ciò è evidentissimo, ma il preadolescente che è in noi non è stupido, anzi al contrario è curioso e vuole guardare bene, ad esempio, come sono fatti i parassiti dei Kaiju, che gli vengono solo fugacemente mostrati. Vuole sezionarli per capirne il funzionamento, vuole vedere come sono i loro denti, così come gradirebbe cogliere sostanziali, polimorfe differenze tra i vari Kaiju. Allo stesso modo vorrebbe partecipare alla costruzione dei Jaegers, entrare nell'officina, cogliere bene come funzionano le giunture delle grosse gambe, annusarne l'odore d'olio e di titanio. Del Toro sembra invece timoroso di realizzare tali curiosità e sembra avere fretta di condurre avanti la storia per arrivare allo scontro finale, alla soluzione dell'enigma catastrofico cui tutta l'umanità sta partecipando. Mi sembra che in altri suoi film, come appunto il già citato Hellboy, Del Toro usi il tempo del racconto in modo più misurato e lento, allo scopo di prendersi cura proprio della curiosità creativa dello spettatore. In "Pacific Rim" il regista appare più distratto, proprio in un territorio in cui è molto, molto più libero di lavorare una materia tutta sua e che conosce molto bene, una contraddizione che non ho ben capito, in verità. In ogni caso il film è da vedere, certamente con bambini, soprattutto preadolescenti. Consigliato.Regia: Guillermo del Toro Soggetto e Sceneggiatura: Travis Beacham, Guillermo del Toro Fotografia: Guillermo Navarro Cast: Charlie Hunnam, Diego Klattenhoff, Idris Elba, Rinko Kikuci, Charlie Day, Burn Gorman, Max Martini, Ron Perlman, Robert Kazinsky, Clifton Collins Jr., Brad William Henke, Larry Joe Campbell Nazione: USA Produzione: Warner Bros., Legendary Pictures Durata: 132 min.