Paco de Luna - Quarto quadro 5 [gianbarly] Passione

Da Gianbarly

Egon Schiele - L'abbraccio


Avevo dentro di me un fuoco che ardeva, una sensazione che mai avevo provato prima di allora. Il corpo di Lourdes mi stordiva con la sua vicinanza. Passavo con delicatezza i polpastrelli sulla sua schiena nuda traendone un piacere infinito. Allo stesso modo lei accarezzava me ed ogni minimo contatto fra di noi aveva la forza di un uragano. I nostri sensi eccitati raccoglievano anche il più piccolo stimolo, amplificandone la forza. Non mi stancavo di percorrerle con la punta del naso l’incavo fra il collo e la spalla, inebriandomi dei mille aromi che la sua pelle di velluto era capace di sprigionare e che io mai mi ero sognato di saper distinguere così nettamente uno dall’altro. Poi mi staccavo per un attimo dal suo abbraccio per poterle guardare il seno. Mai i miei occhi si erano posati su qualcosa di altrettanto portentoso. Ogni curva, ogni avvallamento del suo corpo mi suscitava un’eccitazione straordinaria. Ondate di piacere mi salivano lungo la spina dorsale, irraggiandosi in tutto il torace per poi confluire nella testa, dove esplodevano in mille fuochi colorati. Cominciai a leccarla sulla punta del mento, scendendo in complicate volute lungo il collo per poi risalire sui rilievi del seno. Lei rispondeva inarcando allo spasimo la schiena ed offrendosi tutta ai miei assalti. Avviluppai fra lingua e labbra il capezzolo turgido e, ad ogni centimetro che la mia lingua percorreva, un nuovo e diverso gusto mi invadeva la bocca. Era salata e dolce, frizzante e lieve, aspra e vellutata come niente altro fino ad allora. Tesi l’orecchio per sentire come il suo corpo risuonasse in risposta agli stimoli che le davo con le mani e con la lingua. Udii il suono ritmico del suo cuore che si spandeva ad onde sulla superficie della pelle, facendola contrarre ed espandere secondo i segreti percorsi del piacere.
Ci amavamo con una intensità assoluta, ma senza frenesia, anzi con la calma di chi sa che per certe cose non ci vuole fretta. Non eravamo naufraghi assetati che si gettano con furia nella pozza d’acqua; non sopravvissuti denutriti che affondano il viso dentro il piatto che viene finalmente loro offerto. Nemmeno ci sentivamo dei clandestini che devono consumare in fretta la loro passione irrivelabile. Stavamo semplicemente facendo la cosa più naturale del mondo, quella più giusta e la facevamo in sintonia con il ritmo placido dell’universo. Non c’era stato bisogno di parole o di accordi fra di noi. Ci eravamo trovati là dove sapevamo di essere ed eravamo andati, senza scambiare una sola parola, verso casa mia. Entrando Lourdes aveva appena dato un’occhiata in giro e poi aveva cominciato a spogliarsi. Io la guardavo ed intanto armeggiavo senza fretta con i miei bottoni. Ci toglievamo i vestiti con estrema naturalezza, come per esporre l’un l’altro gli strati più profondi del nostro animo. In poco tempo ci trovammo nudi, a guardarci dentro con la crescente consapevolezza di trovarci, dopo esserci a lungo cercati. Lourdes allargò le braccia, invitandomi così a perdermi in lei, come solo la Natura è capace di fare con i suoi figli. C’era tutto in quell’abbraccio: smarrimento, protezione, soffio vitale e annullamento. I nostri corpi iniziavano così a prendere coscienza l’uno dell’altro mentre i nostri esseri si fondevano in un impasto che amalgamava le differenze, esaltando le affinità e smussando ogni possibile punto di frizione. E quell’impasto non era fatto solo di noi ma, anzi, tendeva ad includere tutto quello che ci circondava, la stanza dove eravamo, la casa, e, in volute sempre più ampie, il palazzo, le vie circostanti e tutta la città. In quel momento ci sentivamo di essere il centro pulsante di un vortice immenso, delle dimensioni dell’intera galassia.
Nulla, in quei momenti, turbava la sicurezza che mi aveva invaso. Mi ritrovavo di colpo a sapere esattamente cosa fare e come farlo, con la maestria dell’artigiano che ripete per la millesima volta il suo gesto antico, sapendo che esso produrrà proprio l’effetto cercato. Non che il mondo circostante, con le sue trappole ed i mille volti che assume, fosse sparito. Era sempre lì, intorno a me. Ma ora mi sentivo capace di affrontarlo, schivandone gli inganni e prendendomi la responsabilità delle scelte che avrei fatto. L’aver trovato Lourdes mi dava una carica straordinaria e quella lucidità che avevo cercato invano fino ad allora.
Bocca contro bocca, i nostri respiri si fondevano in maniera sempre più profonda. Le mani si facevano più impazienti ed audaci, i fianchi cominciavano a muoversi al ritmo dell’amore. Sentivo le sue dita percorrermi frenetiche il membro, accarezzandolo e guidandolo verso la sua meta. Sotto le mie dita il suo sesso pulsava, reclamando di accogliere ciò che l’avrebbe reso completo. La penetrai con studiata lentezza, strappandole un gemito prolungato. Mi muovevo dentro di lei ebbro di piacere. Le nostre gole prorompevano in guaiti spezzati, i petti ansimavano. Sudore e saliva, brividi e vampe di calore, mani intrecciate e piedi che scalciano. Acciaio puro che pulsa all’interno del suo corpo. Velluto ed elettricità che avvolgono tutto il mio essere. Giorno e notte, dolce e salato, freddo intenso e caldo torrido. Lastre di ghiaccio che entrano crepitando in un altoforno. Vita e morte, annullamento e consapevolezza. Onde sempre più brevi ed intense che si infrangono sugli scogli in un’esplosione di schiuma bianchissima. La parte più interna dell’anima che esce dal  corpo per perdersi dentro al suo. Gemiti in toni più bassi e profondi, respiri spezzati affamati di aria, muscoli che sembrano rilassarsi per poi contrarsi ancora. Braccia estenuate che si afflosciano in un languido abbraccio.
Poi null’altro che il placido abbandono di due corpi esausti, fra le onde disordinate delle lenzuola.

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